L'Ulisse di Dante

Una singolare interpretazione diversamente canonica

Il XXVI canto dell’Inferno, uno dei più noti e letti dell’intera Commedia, presenta una figura di antieroe che sembra diventare oggetto di incomprensibili giudizi morali che lo condannano senza appello.

Ulisse è posto all’Inferno, nell’ottava bolgia con il compagno d’avventure Diomede, rei di aver agito come consiglieri fraudolenti…

I due personaggi omerici sono presentati avvolti da una fiamma che si divide in due lingue di fuoco, come a voler simboleggiare la lingua del tradimento, quella biforcuta dei serpenti.

Come in molti altri casi precedenti, e come vedremo successivi, l’alloggiamento di alcuni personaggi danteschi lascia molto perplessi, contravvenendo spesso alle più comuni regole dell’etica e della logica.

Ulisse è condannato per aver suggerito la costruzione del Cavallo di Troia, oggi considerato simbolo di stratagemma geniale a fini militari, e non solo.

À la guerre comme à la guerre”, ci ricorderebbero i francesi, come per dire che in battaglia tutto è concesso e che si deve agire con quello che si possiede, pur di vincere.

Quindi condannare Ulisse per aver progettato una arma letale, di indubbia efficacia bellica, può sembrare, quantomeno, un' improbabile giustificazione.

Tuttavia queste evidenti forzature appaiono meno incomprensibili ad una lettura approfondita dei testi: applicando il metodo anagogico è possibile reinterpretare alcuni passi trovando diletto da novelle piccole scoperte.

Molto spesso la posizione delle Anime non rispetta delle accettabili regole etiche, piuttosto potrebbe essere considerata una sorta di necessario stratagemma letterario che consente al Poeta di esprimere comprensione e tolleranza verso le figure che descrive, pur collocandole nei luoghi di massima pena, per eludere possibili sospetti di eresia.

E’ il caso di Farinata degli Uberti, cataro dichiarato e ghibellino, che Dante "deve" inserire necessariamente all’Inferno. Con grande probabilità, lo vedremo in un prossimo articolo, anche il Poeta sposava la stessa fede religiosa, che si armonizzava nella sua comprovata appartenenza alla Confraternita dei Fedeli d’Amore. Se così non avesse fatto probabilmente oggi non leggeremo neppure uno dei suoi versi… I roghi dell’Inquisizione non facevano sconti a nessuno.

Ulisse si trova quindi all’Inferno non tanto per le sue ben note trasgressioni sessuali, o per aver abbandonato definitivamente la povera Penelope in cerca di una Verità e di una Canoscenza che gli mancavano come l’aria che respirava: si trova all’Inferno per una sua invenzione militare.

Successivamente l’eroe omerico racconta, sollecitato da Virgilio, il suo ultimo viaggio che lo porterà a superare le Colonne d’Ercole, un limite invalicabile, una sorta di tabù geografico che divideva le terre conosciute da quelle che venivano indicate con la nota locuzione latina: Hic sunt leones

Nel brano dantesco che narra questo splendido passo ho voluto evidenziare alcune parole:  

      L’un lito e l’altro vidi infin la Spagna,  103
fin nel Morrocco, e l’isola d’i Sardi,
e l’altre che quel mare intorno bagna.

 

Io e’ compagni eravam vecchi e tardi
quando venimmo a quella foce stretta
dov’Ercule segnò li suoi riguardi


acciò che l’uom più oltre non si metta;
da la man destra mi lasciai Sibilia,
da l’altra già m’avea lasciata Setta.


"O frati," dissi, "che per cento milia
perigli siete giunti a l’occidente,
a questa tanto picciola vigilia


d’i nostri sensi ch’è del rimanente
non vogliate negar l’esperïenza,
di retro al sol, del mondo sanza gente.

 

Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza".

 

Li miei compagni fec’io sì aguti,
con questa orazion picciola, al cammino,
che a pena poscia li avrei ritenuti;

 

e volta nostra poppa nel mattino,
de’ remi facemmo ali al folle volo,
sempre acquistando dal lato mancino.


Tutte le stelle già de l’altro polo
vedea la notte, e ’l nostro tanto basso,
che non surgëa fuor del marin suolo.

 

Cinque volte racceso e tante casso
lo lume era di sotto da la luna,
poi che 'ntrati eravam ne l'alto passo,

quando n’apparve una montagna, bruna
per la distanza, e parvemi alta tanto
quanto veduta non avëa alcuna.

Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto;
ché de la nova terra un turbo nacque
e percosse del legno il primo canto.

Tre volte il fé girar con tutte l’acque;
a la quarta levar la poppa in suso
e la prora ire in giù, com’altrui piacque,

              infin che ’l mar fu sovra noi richiuso".    142

 

I termini in grassetto sono quelli che potrebbero prestarsi a evidenziare una differente struttura interpretativa, in grado di far saltare sulla sedia gli accademici e incuriosire, forse, qualche lettore.

 

Io (Ulisse) e i miei compagni eravamo già in età avanzata quando giungemmo presso le colonne d’Ercole, poste in quel punto per impedire agli Uomini di oltrepassarle. Sulla destra superai Siviglia e alla sinistra lasciai Setta (Ceuta? O la nostra Setta?).

O miei Fratelli che attraverso migliaia di pericoli siete giunti presso l’Occidente ora che non ci resta molto tempo da vivere non vorremo mica rinunciare a scoprire cosa si nasconde oltre questo confine? (Colonne d’Ercole – Mondo senza gente).

Quindi ordinai ai miei Fratelli di riprendere il cammino facendoci uscire con il vento favorevole, non potendo più tornare indietro.

Rivolta la poppa a Levante (quindi andarono verso Ponente), con i remi ci lanciammo verso l’ignoto. Oltrepassato l’Equatore iniziano a vedere le stelle dell’emisfero Australe. Trascorsi quasi cinque mesi dall’uscita dalle colonne d’Ercole ci apparve una grande montagna scura per la lontananza, grande come non ne avevamo mai viste. Subito ci rallegrammo ma un istante dopo venimmo colpiti da un turbine partito da quella montagna, ci disperammo perché colpì la nostra prua. Girammo tre volte su noi stessi poi la poppa si sollevò e la prua affondò, come piacque a Dio, finché scomparimmo tra i flutti.

Una possibile interpretazione di questo passo vedrebbe Ulisse (Dante) rivolgersi ai propri Fratelli (Fedeli d'Amore) invitandoli a uscire dalla Setta. Questa decisione potrebbe essere messa in relazione con il documentato litigio tra Dante (Fedele d'Amore di grado elevato) e Guido Cavalcanti (Probabile Gran Maestro).

Il Mar Mediterraneo diventerebbe il Tempio dei Lavori di Loggia, dove all'Oriente siede il Gran Maestro e all'Occidente sono poste le due Colonne (Jakin e Boaz) che limitano lo Spazio sacro.

Durante i Rituali d'Iniziazione i Fratelli entrano nel Tempio e compiono tre giri rituali in senso orario. Quando si esce, nei rituali di molte tradizioni, il percorso avviene in senso antiorario, "sempre acquistando dal lato mancino".

Volendo compiere un salto molto coraggioso potremmo anche considerare i cinque mesi, "Cinque volte racceso e tante casso" come il numero che identifica il Grado di Compagno d'Arte, il cinque appunto: essendo presenti nella Confraternita dei Fedeli d'Amore, secondo i maggiori studiosi, un primo Grado di Apprendista, un secondo Grado di Compagno e un Gran Maestro che dirigeva i Lavori. Essendo Guido Cavalcanti il Gran Maestro, Dante e i suoi avrebbero potuto essere al massimo Compagni d'Arte, quindi anche l'utilizzo del termine Frati o Compagni, intesi come sininimi troverebbe una nuova interpretazione.

Leggiamo sul web: a cura di Suania Acampa, Fedeli d’Amore - i ragionamenti critici di Valli e Rossetti - 11/09/2015

 

 “Questi poeti settari s’interessano troppo all’amore dei compagni verso la propria donna, alla sua sincerità e alla sua fedeltà verso l’amata, per essere semplicemente poeti d’amore: in un sonetto, Guido Cavalcanti incarica Dante di indagare se Lapo Gianni sia veramente innamorato, o se finga.  Riguardo al sonetto di Cavalcanti, Luigi Valli commenta così: «Se il capo riconosciuto di un’organizzazione segreta dovesse incaricare un adepto di vigilare e di riferire sulla fedeltà e sulla sincerità di un altro adepto non userebbe parole diverse da queste». Guido, così interessato all’amore degli altri suoi colleghi, è stato invece definito dalla critica positiva un semplice intermediario. Lo stesso Guido a cui scrivono poeti da qualunque parte d’Italia, raccontandogli di diversissime donne. Lo stesso Guido che inizia Dante alla setta, colui a cui Dante, non a caso, dedica la Vita Nova.  (Luigi Valli)    

Come abbiamo già avuto modo di asserire in precedenza, Guido Cavalcanti ricopriva una importante carica istituzionale presso la Confraternita dei Fedeli d’Amore, Dante sicuramente un posto di grande rilievo.

Torniamo al nostro Ulisse: superando le Colonne d’Ercole, le Colonne del Tempio, escono dal luogo sacro… si lasciano la Confraternita alle spalle... già m’avea lasciata Setta.  

e volta nostra poppa nel mattino

de’ remi facemmo ali al folle volo, 
sempre acquistando dal lato mancino. 

Percorrono un lungo tragitto, al termine del quale la loro imbarcazione compie tre giri in senso antiorario, al quarto si perde tra i flutti.

Tre volte il fé girar con tutte l’acque
a la quarta levar la poppa in suso 
e la prora ire in giù, com’altrui piacque,

      

Immaginare che Dante abbia voluto rappresentare l’uscita dalla propria Setta, ovvero l’Ambiente iniziatico che lo aveva accolto alcuni anni prima, quando scrisse la “Vita Nova”, ovvero la Nuova Vita nella Confraternita dei Fedeli d’Amore, può apparire suggestivo e sicuramente degno di ulteriori approfondimenti.

Il Livello Anagogico o Esoterico appare molto spesso nebuloso o di difficile interpretazione, al pari di un metalinguaggio deve proteggere chi scrive e rivolgersi unicamente a coloro che leggendo possano comprendere.

Non dovremo mai dimenticare che l'Inquisizione analizzava puntualmente ogni scritto e ogni pubblicazione e nella migliore delle ipotesi metteva, come nel caso di Dante con i "De Monarchia", i libri all'indice... nel peggiore dei casi intervenivano i paludati boia che accendevano le pire per compiere dei cristianissimi delitti.

Altri approfondimenti seguiranno in futuro per proporre nuove speculazioni o per tentare di comprendere molte contraddizioni, più o meno palesi.

 

 

 

 

 


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Articolo pubblicato il 24/03/2020