Conte e il virus

Per vincere la corsa bisogna giocare d’anticipo, non inseguire gli eventi

Come ci insegna lo studioso statunitense Daniel Goleman, essere leader richiede certamente competenze robuste, tanto specifiche quanto generali, non disgiunte da un’innata predisposizione a quello che oggi si chiama pomposamente “problem solving” ma che in modo più schietto possiamo sintetizzare con “attributi”. Soprattutto serve intelligenza emotiva, riassumibile nella capacità di sentire gli eventi, avendo sempre il polso della situazione, anzi governandola, senza farsi trascinare da essa con la scusa dell’ineluttabile.

Lo affermava già Platone nel suo dialogo sulla Repubblica: guidare un popolo non è diverso dal manovrare una barca e dunque per occuparsi di Politica occorre coniugare l’alto esercizio del bene collettivo con la forma superiore della tecnica (appunto téchne politiké). In altre parole è necessario conoscere bene la struttura dello scafo, i fondali, le correnti marine, i venti, le stelle ma anche l’equipaggio, e soprattutto la rotta da seguire. Cioè precorrere, prevedere.

Vogliamo dirlo in modo più chiaro, cosicché l’accostamento con la drammatica realtà di questi giorni grami risulti ancora più stringente? Precorrere, prevedere, perché prevenire è meglio che curare: sempre.

Non pare che di queste doti sia particolarmente pregno il noto Giuseppi, al quale, per contro, per essere riuscito a conservare il seggiolone di Primo Ministro – nonostante un’inversione a U da ritiro della patente – andrebbe invece attribuita la medaglia d’oro in fregolismo (oltre che, ovviamente, in menefreghismo!).

Visione? Zero. Alle solerti vedette lombarde, venete e friulane (Fontana, Zaia e Fedriga) che già all’inizio di Febbraio chiedevano prudenza e misure di prevenzione per evitare il peggio (che ahinoi è poi arrivato), il Conte rispondeva di vedere piuttosto dilagare e serpeggiare il pericolo montante dell’odio e del razzismo, ben più infido ed esiziale (ipse dixit) del Corona cinese.

E se un virus è oggettivamente troppo piccolo (anche per un’aquila come Lui)  da poter essere scorto aggirarsi tranquillamente per strada – salvo, in seconda battuta, rimproverare ai nostri Medici di Codogno di non averlo saputo riconoscere direttamente a occhio nudo! – lo squadrismo violento e armato di turpiloquio dovrebbe invece essere un po’ più manifesto. Ora i casi sono due. O ci ha visto male Lui, immerso nel suo iperuranico mondo dei sogni dove il fine (ovvero la conservazione in formalina della poltrona) giustifica i mezzi – e questa francamente mi sembra l’ipotesi più probabile –, oppure siamo stati tutti noi a essere orbi. Intimoriti, poveri scemi, dal bacillo e dagli involtini primavera quando invece avremmo dovuto ben più saggiamente strizzare per il pericoloso assalto alla nostra Democrazia, portato avanti da torme di facinorosi razzisti. Non so perché ma a me sembra che queste ultime non si siano viste (a meno che con assalto alla Democrazia non s’intenda il sussulto di un ormai esiguo branco di Sardine, dove i pesciolini si sono improvvisati – udite! – addirittura scrittori, per propinarci il loro verbo pure ai tempi del Coronavirus).

Sarà… ma “nessuno mi ha accecato” e, dato che dalle parti di Chigi, non sembrano affacciarsi menti aguzze e sopraffine come quella del multiforme Odisseo, io continuo ostinatamente a fidarmi della mia retina.

Dicevamo dunque che il Conte Giuseppi non ci ha visto (leggi non ha voluto vederci) e la situazione, ora in Italia, è degna di un racconto del suo omologo Conte Dracula: con la tragica realtà di vittime quotidianamente contate a centinaia e con la prospettiva di scenari economici da deserto nucleare, dove ai Cittadini – se non cambia giustappunto la capacità di visione – verrà vampirescamente spremuto il sangue.

Un buon leader, un mentore, un giocatore fuoriclasse, una guida che fosse degna di questo nome avrebbe invece dovuto prefigurarsi il rischio di scenari inattesi e critici, mettendo in campo tutte le misure atte a prevenirli: senza rincorrere gli eventi ma giocando d’anticipo.

Recita una nota massima (neanche a farlo apposta, cinese!) tratta dall’opera “L’arte della guerra” di Sun Tzu, Generale vissuto fra il VI e il V secolo a.C. (uno, per intenderci, che gli attributi ce li aveva eccome): non conosci te stesso né il tuo nemico, la sconfitta è sicura; conosci te stesso ma non l’avversario che fronteggi, dipende da te, puoi vincere o perdere a seconda della tua bravura; conosci tanto te stesso, quanto il tuo nemico, la vittoria è certa. Orbene, atteso come non ci si trovasse purtroppo nell’ultima condizione, visto che il virus è ancora quasi sconosciuto per tutti, il principio di massima precauzione avrebbe richiesto di porsi almeno in un’orbita di relativo riparo e controllo, nell’attesa di affinare le conoscenze sul nemico e consentire alle truppe di armarsi adeguatamente per fronteggiarlo.

Ma al corno guerresco del Corona, Conte ha risposto con il dolce flauto dell’abbraccio al Cinese, dei voli diretti soppressi dimenticando le triangolazioni, delle quarantene preventive fatte passare come pericolose forme di segregazionismo, consentendo così al flagello di penetrare nel nostro territorio e lì di posizionarsi indisturbato. E poco importa che anche larga parte del resto d’Europa si sia fatta cogliere più o meno impreparata: a chi in Italia piange un famigliare o un amico portati via dal virus, non si può certo rispondere notando come a Berlino o a Parigi altre persone siano preda del medesimo dramma! Il dolore delle conseguenze è universale: la responsabilità delle cause, invece, soggettiva.

E il trotto del Conte continua, a colpi di de-cretini (nel senso grammaticale latino di complemento di moto da luogo figurato) che col virus sembrano usare i guanti piuttosto della “manu militari”. Non servono palliativi o misurine che ci facciano cuocere ancora a fuoco lento: bisogna tirare a campare (in tutti i sensi), assumendo misure perentorie e draconiane che stronchino con un colpo secco questo male. Prima che esso e le conseguenze economiche che ne deriveranno stronchino noi. E con l’accortezza, questa volta, di prevedere i provvedimenti necessari per scongiurare i contagi di ritorno, ovvero quelli importati dall’estero. Altrimenti la triste conta delle vittime ricomincerà e saranno stati vani tutti gli eroici sacrifici compiuti, a cominciare da chi è in prima linea.

Conte ha trottato invece di galoppare, credendo se stesso Achille piè veloce e il virus – nato lontano, all’ombra del Dragone – una tartaruga facile da agguantare: poco temibile, alla stregua di una banale influenza. Purtroppo per noi Zenone ha di nuovo avuto torto e l’unico paradosso ancora in essere è che il Conte-Achille sia ancora lì a (rin)correre, invece che chiedere mestamente scusa e cedere in fretta il posto a uno meno fesso di Lui.

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Articolo pubblicato il 27/03/2020