Amarcord - La Sanità piemontese ai tempi del democraticovirus

Tutti applaudivano. Schierati in prima fila i giornali governativi

In testa a tutti, ve ne erano due: quello che da tempo aveva sepolto nell’oblio la nobile insegna che recitava “frangar non flectar”, e quello che obbediva senza discutere alle veline che i De Benedetti inviavano ogni giorno dalla Svizzera.

Il governo della Regione Piemonte era considerato da quei giornali in mani sicure, quelle democratiche, perché alla sua direzione era arrivata Mercedes Bresso, che aveva affidato la sanità ad una comunista dura e pura come Eleonora Artesio.

In quegli anni, intorno al 2008 e 2010, vigeva l’obbligo di ignorare che la città di Torino si stava avviando ad una lenta ma continua decadenza. 

Il povero lettore di La Stampa e di Repubblica doveva essere al contrario informato, ed anche convinto, che Torino ed il Piemonte, amministrati da personaggi eccelsi come la Bresso, Chiamparino e Fassino, avevano davanti a loro un fulgido avvenire. Si diceva che erano in arrivo iniziative industriali e culturali di alto livello e che erano in coda molte imprese estere decise a trasferire le loro sedi nella nostra regione.  Avrebbero visto la luce anche meravigliosi villaggi satelliti già in cantiere da tempo e disegnati da veri archistar, sull’esempio di quelli nati intorno a Parigi ed a Berlino.

Le stesse prospettive dovevano essere estese anche al sistema sanitario regionale. La sua impostazione continuava a reggere, anche se qualche scricchiolio era percepibile, attenuato dalla immanenza di quelli che venivano definiti “centri di eccellenza”.

Dopo l’arrivo alla presidenza della compagna Mercedes Bresso, l’attenzione dell’assessorato della sanità si concentrò con la Artesio e con il Valpreda sull’assistenza di tutti gli extracomunitari. Forse per contrapporre un loro credo ideologico a quella corrente di pensiero che già allora affermava “prima gli italiani”.

Tutta l’attenzione venne concentrata sulla creazione di un sistema sanitario parallelo a quello nazionale dedicato agli immigrati. Venne denominato “Guida ai servizi sanitari per immigrati” ed inaugurato nel 2008.

Le piccole crepe che si erano aperte nella sanità piemontese con l’eliminazione di piccoli presidi e con la riduzione del personale sanitario, sostituito da un numero sempre maggiore di amministrativi inutili e di parenti di sindacalisti CGIL, CISL, UIL, continuarono ad allargarsi lentamente.

Fino all’arrivo al comando di due sedicenti grandi riformatori come Sergio Chiamparino ed il suo segugio Antonino Saitta.

Insieme, con la solita arroganza tipica della sinistra, hanno annunciato un loro piano di innovazione e di ristrutturazione della sanità regionale. Innanzitutto perché lo chiedeva l’Europa.

E poi perché da Roma, prima Mario Monti, poi Enrico Letta, il Matteo Renzi ed infine Paolo Gentiloni detto “er moviola”, avevano imposto al nostro paese la ben nota linea di rigore finanziario che imponeva l’obbligo di risparmio in ogni settore.

Chiamparino e Saitta proponevano, nel piano da loro ideato, la chiusura di nosocomi che erano pilastri dell’asse portante dei sistema sanitario regionale. Tra questi l’Ospedale Oftalmico, il Maria Adelaide, l’ospedale Valdese e molti altri piccoli ospedali disseminati nel territorio piemontese. Avevano allungato l’occhio anche sull’Ospedale Infantile Regina Margherita.

Il CTO era già stato ridotto ad uno spezzatino, con la trasformazione di un centro di alta specializzazione ortopedico-traumatologica in una specie di caotico policlinico. Installando In ognuno dei suoi piani minireparti con letti di altre specialità.

Chi si opponeva a questa ristrutturazione ed a queste chiusure, doveva essere considerato  soltanto un bieco conservatore, una persona che, secondo Chiamparino e Saitta, mancava di anima.

Le strutture sanitarie, demolite perseguendo i piani del gatto e della volpe, dovevano essere sostituite, secondo loro, da un nuovo, moderno grandissimo ospedale, al passo con le più avanzate tecnologie e con più posti letto di quelli eliminati (Antonino Saitta dixit).

Gli avevano dato il nome pomposo di PARCO DELLA SALUTE od anche di CITTA’DELLA SALUTE.

Parco che da tanti anni è in attesa di essere ultimato, e che oggi obbliga la città di Torino e la Regione Piemonte, alle prese con il coronavirus, a confrontarsi con le macerie ed i resti delle strutture sanitarie lasciate sul campo dal passaggio dei due sussiegosi compagni.

 

 

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Articolo pubblicato il 06/04/2020