L'essenziale al tempo del Coronavirus

Il consumismo si ferma e ciò che è indispensabile viene messo in discussione

Capitalismo e consumismo ci hanno abituato a considerare ogni cosa come indispensabile, perché in fondo il consumismo si basa sul fatto che ogni cosa che il Mercato produce è indispensabile proprio perché da esso prodotta, nella visione in cui le necessità non vanno soddisfatte ma create, inventate di continuo.

Se tutto è essenziale per il Mercato, allora nulla è essenziale per l'Uomo, perché manca quella capacità di poter discernere quale sia veramente ciò di cui abbiamo necessariamente bisogno e di cosa no.

Con la chiusura di molte attività ritenute non essenziali per la nostra sopravvivenza, per via del Coronavirus, ecco riemergere dinnanzi a noi quella realtà non filtrata dal consumismo, quella realtà nella quale un inutile shopping compulsivo piuttosto che l'acquisto dell'ultimo smartphone come status symbol quando quello che abbiamo funziona ancora, è una reatà che ci era divenuta quasi sconosciuta.

In fondo, essere privati della possibilità di acquisare un nuovo divano di quella marca che ci martella di spot e che apre un nuovo negozio al giorno in giro per l'Italia non risulta più essere una vera privazione, così come il dover per forza andare due volte alla settimana dall'estetista.

Le false necessità del capitalismo sembrano come svanire durante il lockdown delle ultime settimane; domandarsi cosa sia essenziale in condizioni di normale vulnerabilità è mettere in discussione la normalità del capitalismo che si nutre dell'acquisto continuo e che si trova ora spiazzato.

Adesso che una catastrofe collettiva ha obbligato i Governi a ridefinire quasi filosoficamente ciò che è essenziale, in opposizione alla logica del Mercato, ci troviamo in una situazione di fatto nella quale, ridotti al poco che resta, ci mancano le cose che ritenevamo essenziali non previste dai decreti del lockdown.

Così, ad esempio, il calcio, senza il quale non potevamo proprio sopravvivere, ha finito di essere essenziale, e con esso la possibilità di trascorrere l'intera domenica al centro commerciale, il tutto per lasciare più spazio, se saremo stati in grado di sfruttarlo, alla lettura di un buon libro, alla riflessione su quanto siano importtanti le relazioni umane, l'aiuto reciproco, il cucinarsi qualcosa di sano inceve che comprare cibi già pronti.

Soprattutto, ci stiamo rendendo conto di quanto ci manchino quelle cose realmente essenziali che neanche il turbocapitalsimo può darci: il sole, l'aria più pulita, la compagnia degli amici, una corsa al parco.

La clausura tra le pareti domestiche ci ha portato a domandarci per la prima volta: che cosa è essenziale? Più uguaglianza o più ricchezza? Più libertà o più sicurezza? Più autonomia (o anarchia?) regionale o più coordinamento e sinergia centraliste?

Da alcune settimane, esiste il portale Posso dove è possibile scambiare competenze in maniera gratuita, una sorta di baratto delle conoscenze, delle capacità completamente gratuito, un qualcosa che avevamo dimenticato così drogati dal consumismo galoppante degli ultimi decenni.

 

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Articolo pubblicato il 21/04/2020