Jawa 350 la motobicicletta per tutti.

Un mezzo spartano, prodotto decenni fa, capace di andare ovunque.

Certamente gli anni 70 del secolo scorso sono stati tempi in cui gli approcci ai mezzi meccanici di trasporto a due ruote seguivano logiche non così omologate come gli attuali.

Oggi tutto è millimetricamente studiato in ogni particolare per soddisfare le richieste di utenti esigenti e competenti in materia, per cui i prodotti proposti possono variare tra di loro per dettagli che nessuno riuscirebbe a distinguere se non un addetto ai lavori.

 

Alcuni modelli di motociclette dell’anno precedente giacciono invenduti nei magazzini perché differenti dal nuovo modello per un’inezia. Ma questo è sufficiente perché risultino obsoleti per un mercato sempre in cerca dell’ultimo aggiornamento.

 

La Jawa 350 era una motocicletta stradale che oggi potrebbe essere distinta come MPV, multi-purpose vehicle, veicolo per molteplici scopi, cioè in grado di prestarsi ad usi diversi (stradali, autostradali, strade sterrate e fuoristrada leggero).

 

Prodotta in Cecoslovacchia, aveva caratteristiche di robustezza del motore, telaio e sospensioni in grado di affrontare strade accidentate con una certa disinvoltura. Certo non era un fulmine di guerra: le prestazioni del bicilindrico 2 tempi la spingevano poco oltre i 130 Km/h in autostrada.

 

A quella velocità, il passeggero era sottoposto, tramite la sella e le pedane, a vibrazioni da test di resistenza degno di un astronauta. Bastavano pochi chilometri per rimediare un certo intorpidimento generale e una sensazione di scollegamento dei componenti corporei come per effetto di un separatore di particelle.

 

Ma per il guidatore era un’altra cosa. Sembrava di guidare una bicicletta tanto era facile ed intuitiva la guida, aiutata in ciò dalla frizione automatica inserita nel pedale selettore delle marce e azionabile indipendentemente dalla leva di comando manuale della frizione posta sul manubrio. Una goduria poter cambiare senza agire sulla leva al manubrio.

 

Inoltre pesava solo 150 Kg e quindi era facile da manovrare anche da fermo.

 

Dagli scarichi, doppi, usciva il tipico fumo azzurrino rilasciato dai motori a miscela e un suono secco ed alternato distinguibile come colpi di ping pong.

 

In salita non ci si poteva aspettare gran che, specialmente se caricata con due persone, portapacchi e borse piene. In caso di surriscaldamento (il raffreddamento ad aria andava facilmente in crisi sotto sforzo), bastava spegnere il motore per qualche minuto e poi riavviare come se nulla fosse successo.

 

Insomma un mezzo spartano, robusto ed affidabile con qualche difetto veniale facilmente perdonabile. Divertente e non impegnativo. Ma che oggi sarebbe messo alla gogna per motivi di inquinamento ambientale.

 

Perché oggi si preferisce inquinare in altro modo: si prediligono mezzi che spostano l’inquinamento in altri luoghi, laddove si produce l’energia per farli muovere ad emissioni zero (in condotta) e in cui si smaltiscono le parti altamente tecnologiche, ma non riciclabili, giunte a fine vita.

 

Una realtà che è diventata, più che una necessità o una soluzione tecnica, una questione di gusti;

 

e dei gusti non si discute!

 

foto e testo

pietro cartella

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Articolo pubblicato il 04/05/2020