L'epidemia di «Colera» del 1854-1855 nell'area del sud Piemonte

Una ricerca originale di Gervasio Cambiano

Il “Colera”, causato dal batterio Vibrio cholerae, è stata una malattia endemica di alcune zone asiatiche e soprattutto dell'India, già segnalata nel secolo XV° da navigatori europei, ma che, con ogni probabilità, si manifestava già da tempi antichissimi.

Gli scambi commerciali tra le colonie e gli stati delle potenze europee del secolo XIX, sparse in diversi continenti del mondo, facilitarono la diffusione del “morbo” nel mondo occidentale con conseguenza disastrose.

La cultura medico-scientifica delle prima metà dell’ottocento ignorava la batteriologia e pertanto era totalmente priva dell’armamentario diagnostico, clinico e terapeutico adeguato per contrastare efficacemente l’azione dell’agente infettivo. Gli interventi medici erano impotenti se non addirittura controproducenti. Infatti si passava dalla prescrizione dell'oppio e dell'ossido di zinco al sottoporre i malati al salasso con le sanguisughe.

Si doveva arrivare quasi alla fine dell’ottocento perché si riuscisse a scoprire gli agenti eziologici sia del “Colera” che di altre gravi patologie batteriche infettive, grazie agli “scienziati” dell’epoca (John Snow [1813 – 1858], Filippo Pacini [1812 – 1883], Louis Pasteur [1822 – 1895], Robert Kock [1843 -1910], ecc.).

Il “Colera” (ovvero il Vibrio cholerae) si trasmette per via oro-fecale, tramite acqua o cibi contaminati dal “Vibrione” stesso (non termo trattati), che si sviluppa nell’intestino, producendo una “tossina” (CTXPhi) che necrotizza l’epitelio intestinale.

La malattia si manifesta con una sintomatologia clinica caratteristica.

Le manifestazioni del colera sono variabili da uno stato asintomatico a uno di diarrea profusa, in assenza di dolore addominale e tenesmo rettale, che compare dopo 24-48 ore di incubazione. In questo caso si può arrivare fino a una perdita di un litro di feci in un'ora con conseguente stato di disidratazione che può culminare in uno stato di shock ipovolemico. Le scariche sono brevi (50-150 ml eliminati a scarica) e frequenti (dalle 50 alle 100 scariche quotidiane). La persona presenta sete insaziabile, debolezza, raramente ottundimento dello stato sensorio senza delirio, ipotensione, tachicardia e tachipnea.

La cute è viscida e fredda (a causa dell'acidosi e dell'ipokaliemia) e le mucose sono asciutte. La perdita di potassio può determinare lo sviluppo di crampi muscolari. Deplezioni di liquidi superiori al 10% del peso dell'individuo possono portare alla oligo-anuria (vi può essere la possibilità di necrosi tubulare acuta con conseguente insufficienza renale), polso filiforme, ipotensione marcata, tachicardia con polso filiforme, infossamento oculare, raggrinzimento della pelle ("facies da mummia") e sonnolenza fino al coma.

La perdita di bicarbonato con le feci genera uno stato di acidosi metabolica cui si aggiungono alterazioni degli elettroliti e aumento dell'ematocrito (dovuto all'aumento della concentrazione ematica causato dalla perdita di acqua).

Contemporaneamente si presenta anche il vomito accompagnato da severa riduzione della diuresi. Il corpo si disidrata e per il malato comincia il tormento della sete. Il volto si presenta pallido e molto sudato, gli occhi incavati nelle orbite. Quando il malato prova un'intensa sensazione di freddo, nota come fase algida, la morte sopraggiunge nel giro di poche ore. (da Wikipedia)

La terapia attuale consta delle seguenti indicazioni.

L’aspetto più importante nel trattamento del colera è la reintegrazione dei liquidi e dei sali persi con la diarrea e il vomito. La reidratazione orale ha successo nel 90% dei casi, può avvenire tramite assunzione di soluzioni ricche di zuccheri, elettroliti e acqua, e deve essere intrapresa immediatamente.

I casi più gravi necessitano, invece, di un ripristino dei fluidi intravenoso che, soprattutto all’inizio, richiede grandi volumi di liquidi, fino ai 4-6 litri. Con un’adeguata reidratazione solo l’1% dei pazienti muore e, di solito, in seguito al ripristino dei fluidi, la malattia si risolve autonomamente.

Gli antibiotici, generalmente tetracicline o ciprofloxacina, possono abbreviare il decorso della malattia e ridurre l’intensità dei sintomi e sono utilizzati soprattutto per le forme più gravi o nei pazienti più a rischio, come gli anziani.

Quanto sopra illustrato è per fornire un sintetico quadro del “colera”, sotto l’aspetto patologico, diagnostico e terapeutico in versione moderna, ma dobbiamo pensare a cosa succedeva nelle diverse endemie-pandemie che nell’Ottocento hanno flagellato il Piemonte e le altre nazioni europee.

La storia ci ricorda, con dovizia di particolari, le diverse epidemie-pandemie che si sono alternate e precisamente quelle del 1835-1837, del 1848, del 1854-1855, del 1865-1867, 1884-1886, 1893.

Se l’epidemia-pandemia di “colera” del 1835 risultò grave per gli Stati di Terraferma del Regno Sardo, in particolare per la città di Genova, non da meno fu quella del 1854 – 1855 che è l’evento a cui facciamo riferimento per quanto segue.

Ci giunge in merito la breve e interessante ricerca, circoscritta all'area del torinese e del Piemonte Sud (Carignano, Vinovo, Piobesi Torinese, Castagnole Piemonte) del dr. Gervasio Cambiano – cultore di storia locale e delle tradizioni popolari – relativa alla diffusione del colera del 1854 e periodi immediatamente successivi, che proponiamo ai lettori.

Come sempre gli episodi della “storia minore” arricchiscono, colorano e rendono viva la narrazione della grande storia che, per sua natura e per gli inevitabili vincoli di sintesi e generalizzazione, tende a escludere questi importanti particolari di approfondimento.

Un ringraziamento all’Autore per la sua costante collaborazione.

Buona lettura.

******************

Ai tempi del “Cholera morbus.”

Questi ultimi mesi d’inizio 2020, anno bisestile e dunque di cattiva fama, sono stati e sono ancora travagliati da quell’orribile pandemia del Corona virus, ovvero da Covid-19.

Non siamo più abituati a questi eventi funesti. Ma un tempo il genere umano subiva a cicli periodici ogni sorta di epidemie: per tutto il Medio Evo e fino al secolo XVII la peste decimò la popolazione Europea, Mediterranea ed Asiatica.

Poi tifo, vaiolo e colera imperversarono fino ad oltre metà 800. Infine nell’autunno inverno 1918-1919 imperversò la famosa “febbre spagnola”, ben nota ai nostri nonni.

Per quanto riguarda l’epidemia di colera nel Piemonte sabaudo si ebbero già vari casi negli anni 1835 e 1849, ma la maggior virulenza di questa malattia si ebbe nell’autunno 1854.

Per restare nella zona a sud di Torino, tra il fiume Po ed il torrente Chisola, l’epidemia di colera, che aveva già infuriato a Torino, apparve all’inizio del settembre di quell’anno.

I registri contenenti gli Atti di morte delle parrocchie sono le principali e più sicure fonti per l’accertamento dei morti per questo morbo, infatti generalmente riportano sempre il motivo del decesso. Va ricordato che non esistevano ancora le Anagrafi nei Comuni, perché inizieranno ad operare solo dopo l’Unità d’Italia.

Però in qualche Archivio comunale vi sono elenchi di decessi per questo morbo spesso stilati dal medico del luogo o dal Sindaco. Il primo decesso in Vinovo venne accertato il 4 settembre e l’ultimo il 7 novembre. In tutto circa 42-44 decessi quasi tutti classificati con la dicitura “morto di lue asiatica”, su 2500 abitanti (non è conteggiata la frazione di Stupinigi con la sua Parrocchia).

Nella vicina Piobesi Torinese i decessi furono circa 30 su una popolazione di 2250 abitanti. Per 28 di essi sull’atto di morte di fianco all’indicazione del luogo di seppellimento, naturalmente il locale cimitero, è scritta la frase “d’ordine del sig. Sindaco” che indica la morte per colera. Tra i decessi anche il povero becchino di soli 35 anni.

Per Castagnole Piemonte, su 2300 abitanti i defunti furono ben 69, il 3 % della popolazione. Tutti gli atti riportano la dicitura “seppellito nel cimitero di questo Comune per mandato della comunal sanità”.

Il primo caso è registrato il 19 agosto e l’ultimo il 3 novembre. Il 6 agosto 1854 la Giunta Comunale, presieduta dal Sindaco Giovanni Battista Pinardi, deliberò “le misure anticolera”, secondo la circolare del sig. Intendete della Provincia del 1 agosto 1854, riguardante le disposizioni da adottare. Venne così deliberato “l’acquisto di suppellettili, vestiario e cibo per la cura degli ammalati che potessero venire ricoverati nel locale che verrà per un tale oggetto destinato per Ospedale (ossia Lazzaretto) dei cholerosi”.

Infine nella Città di Carignano, il primo decesso avvenne ad inizio ottobre e l’ultimo il 30 dicembre. In questo giorno ci furono ben tre decessi di uomini di 42, 40 ed 80 anni tutti e tre con scritto di fianco alla causa di morte “per colera”. I morti di colera in Carignano risultano 160-164 su 7200 abitanti e quindi il 2,3 % dei residenti.

Naturalmente va ricordato come di colera si poteva anche guarire. Difficile però è stabilire delle percentuali tra decessi e guarigioni. Tra le (poche) carte dell’Archivio storico del Comune di Vinovo riguardanti il colera, vi è una relazione del dicembre 1854, scritta dal sindaco cav. Luigi Rey, che descrive anche alcuni casi.

Sotto la data del 2 settembre di quell’anno viene descritta la malattia di tale Sarasino Giuseppe detto “Ghida”, sensale da bovini di anni 46 circa “Passò il giorno di ieri sul mercato di bovini e gli accaddero forti alterchi per aver esso smarrito alcuni vitelli e soffri gran fatica per rinvenirli. Si accusa di aver mangiato ingordamente dei melloni e venuto a casa la notte ad ora tarda fu assalito da vomiti e diarrea. Visitato dal sig. dr. Chiriotti, vengono riconosciuti molti dei sintomi colerosi. È ben assistito in casa, camera netta ed areata Il sindaco si reca a vederlo alle ore 8 per convincersi del suo stato. Vi si riconosce le estremità fredde, depressione quasi totale di voce e difficoltà di respiro”.

La relazione prosegue con la data 3 settembre mattina. “Nel giorno di ieri si è lentamente operata una reazione in caldo e verso sera eravi miglioramenti. La notte passò quietamente”. Nel corso della giornata si operarono spesso variazioni in meglio ed in peggio. Un dottor medico di Carignano, amico del dr. Chiriotti, venne a visitarlo ed uscendo (di casa) espresse che non era colera la malattia in questione (ciò solo per tranquillizzare la gente). La sera ancora presi notizie dell’ammalato ed era incerta la sua sorte. La notte poi ad una ora delli 4 settembre spirò”.

Interessante la conferma del primo caso di guarigione, verificatosi nel paese, così descritto “ … caduta inferma la vedova Manassero per mal di colera, prese un terror panico a li abitanti del cantone, che vennero alle scuole e chiesero che essa venisse altrove rimessa. Dispose allora il sottoscritto (Sindaco Rey) di una camera posseduta dagli operai della Società Operaia di M.S. di questo luogo i quali la posero volentieri a disposizione del Comune. Quindi fece il Sindaco portare un letto, messo a disposizione dall’albergatore Michele Scarasso, che lo lasciò per 8 giorni tanto durò la malattia della vedova Manassero, seguita dalla sua finale guarigione”.  

Con l’inizio del nuovo anno 1855 la pandemia, come era arrivata, se ne andò.

Nei cimiteri dei paesi del circondario rimangono pochissime tracce di questa pandemia. Solo in qualche cappella funeraria “signorile” o di qualche “abbiente borghese” appare il termine colera in qualche lapide. La grande maggioranza dei defunti venne seppellita nella nuda terra, sepoltura per inumazione destinata, inevitabilmente, col tempo a non lasciare tracce.

Gervasio Cambiano

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 30/04/2020