Stradario torinese: via Francesco Demargherita

Primo Sindaco eletto di Torino, tiene la carica soltanto per i primi tre mesi del 1849

Nel quartiere torinese che si è voluto fantasiosamente intitolare Mirafiori Nord, vi sono le vie intitolate a Francesco Demargherita, Carlo Pinchia, Giorgio Bellono e Augusto Nomis di Cossilla. Le troviamo percorrendo il corso Orbassano in direzione di Beinasco, nel tratto compreso tra la via Guido Reni e la piazza Riccardo Cattaneo con il corso Enrico Tazzoli, sulla destra, fra voluminosi e anonimi caseggiati, bassi fabbricati che ospitano chiassosi supermercati, spiazzi coperti di catrame e cemento delimitati da cancellate metalliche.

Questi quattro signori spiccano fra i pittori, scultori, architetti titolari delle vie circostanti perché sono quattro dei cinque sindaci di Torino eletti a seguito di votazioni dopo il 1848 e che hanno amministrato la nostra città, capitale del regno di Sardegna, nel periodo risorgimentale fino al 1861.

Per comprendere il meccanismo della loro nomina a Sindaco – diverso da quello attuale – occorre considerare la legge comunale e provinciale del 7 ottobre 1848.

Questa legge prevede che gli elettori col loro voto eleggano un numero di Consiglieri variabile a seconda delle dimensioni del Comune e, fra questi, il Re nomina il Sindaco (purché dimori nel Comune almeno una parte dell’anno) con regio decreto (art. 78). Il Sindaco rimane in carica tre anni e può essere confermato quando rimanga al posto di Consigliere.

Per quanto riguarda il numero dei Consiglieri che vengono eletti, la legge prima citata suddivide i Comuni in tre classi.

I Comuni di prima classe, che hanno 10.000 abitanti o sono Capoluogo di Divisione (Torino, Ivrea, Cuneo, Vercelli, Alessandria, Novara, Genova, Savona, Chambéry, Annecy, Nizza, Cagliari, Sassari, Nuoro), eleggono 40 Consiglieri ma se la città supera gli 80.000 abitanti, come nel caso di Torino, i Consiglieri sono 80.

I Comune di seconda classe, con 3.000 abitanti o Capoluogo di Provincia (Pinerolo, Susa, Aosta, Mondovì, Alba, Saluzzo, Biella, Casale…) eleggono 20 Consiglieri.

La terza classe comprende gli altri Comuni che eleggono 15 Consiglieri.

La normativa per l’elezione del Sindaco resterà immutata anche nel Regno d’Italia, fino al 1889 quando i Sindaci verranno eletti dal Consiglio Comunale.

Dopo questa premessa, forse noiosa ma necessaria, veniamo a parlare del primo sindaco torinese “eletto” ma nominato con Regio Decreto, Francesco Demargherita, come scritto sulle targhe viarie, o meglio Luigi De Margherita come di solito indicato da libri e documenti.

Nato a Torino il 9 ottobre 1783, De Margherita è nominato Sindaco al 31 dicembre 1848, all’età di 65 anni.

In tutto questo tempo ha già svolto molte attività a partire da una infanzia certo poco felice perché da bambino resta orfano dei genitori Giovanni Francesco e Benedetta De Caroli. Viene allevato dallo zio paterno Andrea, colonnello d’artiglieria nell’esercito sardo che ne favorisce l’attitudine per gli studi giuridici, dove diviene una vera autorità.

Si laurea in Giurisprudenza nel 1802 a Torino e si dedica all’insegnamento presso questa Facoltà già a partire dal periodo napoleonico per poi proseguire durante la Restaurazione. Dapprima reggente poi titolare di varie discipline giuridiche, nel 1822 giunge all’apice della sua carriera universitaria che prosegue per vent’anni tra la stima di colleghi e apprezzamento degli studenti.

Esercita inoltre la professione di avvocato, con grande successo, e diventa Avvocato patrimoniale della regina Maria Teresa e Consulente del regio patrimonio. Viene considerato uno dei migliori legali torinesi e il maggior esperto del sistema giudiziario del Regno.

Il Nostro è di bassa statura, bruttino e di aspetto insignificante, ma quando prende la parola per analizzare questioni giuridiche esprime concetti e considerazioni di una tale profondità e autorevolezza che si impone all’attenzione dell’uditorio.

Il successo della sua carriera è contrassegnata anche dalle onorificenze e dai titoli nobiliari conseguiti. Nel 1833 ottiene il cavalierato dell’Ordine Mauriziano e, il 18 luglio 1844, il Re Carlo Alberto gli concede il titolo di barone (nobiltà di servizio).

Il 1844 è un anno particolare per il Nostro. Decide di interrompere la sua carriera universitaria: dà le dimissioni dopo un banale contrasto con il preside della facoltà, per l’orario degli esami, e l’anno seguente va in pensione col titolo di professore emerito. A 61 anni inizia la sua carriera politica in un momento convulso segnato dalla svolta liberale di Carlo Alberto, che vede il Nostro ricoprire prestigiose cariche. Con l’istituzione della Corte di Cassazione, nel 1847 diviene Consigliere di Cassazione a Torino e, nel 1849, Presidente di classe della Corte di Cassazione.

De Margherita è nominato senatore del Regno il 19 dicembre 1848; dopo appena dodici giorni diventa il primo sindaco di Torino eletto dopo votazioni.

Presta giuramento il 1° gennaio 1849 e annuncia come linee guida del suo programma l’istruzione elementare anche per le bambine, l’assistenza dei cittadini indigenti, la polizia e l’igiene dell’abitato. Mantiene questa carica per tre mesi soltanto, nel periodo agitato e tumultuoso che precede la breve e sfortunata seconda campagna della prima guerra di indipendenza, culminata con la disfatta di Novara (23 marzo 1849), l’abdicazione del Re Carlo Alberto e i primi difficili momenti del regno di Vittorio Emanuele II. Il 27 marzo 1849 viene chiamato al Ministero di Grazia, Giustizia e Culti (guardasigilli) nel Governo di Gabriele de Launay. Così lascia la carica di sindaco a Carlo Pinchia.

Come guardasigilli, il Nostro deve affrontare problemi molto gravi e i risultati non sono entusiasmanti, almeno per lui. Vorrebbe abolire i diritti di primogenitura, i maggioraschi e le commende dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro, che contrastano con lo spirito dello Statuto Albertino, e introdurre riforme del sistema giudiziario. È costretto a ritirare i progetti di legge dalla opposizione congiunta dei democratici e dei conservatori del Parlamento Subalpino (La legge per l’autonomia della magistratura sarà approvata nel 1851, quando De Margherita non è più ministro).

Un altro problema del Nostro è rappresentato dal contenzioso col Papa Pio IX a proposito delle diocesi di Torino e Asti. Affida le trattative al conte Giuseppe Siccardi (Verzuolo, 1802 – Torino, 1857), magistrato e sottosegretario al ministero, inviato a incontrare il Papa a Portici, dove si è rifugiato dopo la fuga da Roma e la successiva proclamazione della Repubblica Romana. Siccardi non ottiene risultati ma a Torino acquisisce la stima di magistrato navigato e di chiare idee liberali, il successore ideale di De Margherita.

È lo stesso De Margherita che favorisce questa sostituzione con una incredibile gaffe. Come guardasigilli, concede a una figlia naturale del defunto marchese Giovanni Battista Serra la legittimazione che implica una cospicua eredità. Poiché la ragazza è la fidanzata di suo figlio è giustificato il sospetto di interesse personale. Lo scandalo gli impone le dimissioni, il 18 dicembre 1849.

Pochi mesi dopo, il Nostro tenta di giustificarsi con un opuscolo, intitolato “A’ suoi concittadini il barone Demargherita ex-ministro di Grazia e Giustizia” (Torino, 1850), ma senza successo.

Con tutto questo, De Margherita rimane consulente della famiglia reale, non si ritira dalla vita pubblica e, al Senato, fino al 1855 viene sempre considerato il maggiore esperto in campo giuridico quando occorra esaminare proposte di leggi che comportino complesse interferenze tra codici e giurisdizioni. È indicato come un riformatore animato da una visione laicista e innovatrice delle istituzioni del Regno, precursore non soltanto in ordine cronologico del più noto Siccardi che, nel 1850, presenta al Parlamento le leggi che aboliscono i privilegi del clero cattolico. Leggi che sono approvate anche grazie a un magistrale intervento di De Margherita (8 aprile 1850).

A suo onore, va anche ricordato il suo successivo impegno contro le leggi Rattazzi del 1855 per la soppressione dei conventi, avversate in quanto gravemente lesive del diritto di proprietà, tanto da indurlo ad avvicinarsi alla opposizione formatasi in Senato.

De Margherita si ritira dalla vita pubblica e muore a Torino, il 20 maggio 1856.

Come sindaco di Torino non si possono esprimere molte considerazioni per la brevità del suo mandato. Da queste note, anche se sommarie, emerge l’importanza assunta da De Margherita ai suoi tempi che contrasta con l’oblio in cui è caduto, oblio che si contrappone alla fama che ancora circonda Giuseppe Siccardi come icona del laicismo.

A De Margherita, in tempi recenti, è stata intitolata una brutta via in una zona della periferia cittadina che forse lui non conosceva nemmeno, a Siccardi - ricordato anche dall’obelisco di piazza Savoia - è stato dedicato un bel corso cittadino anche se in seguito in buona parte ribattezzato Galileo Ferraris.

 

Riferimenti bibliografici.

Dario Poto, Giuristi subalpini tra avvocatura e politica, Torino, Alpina, 2006.

Guido Ratti, De Margherita, Luigi Francesco, Dizionario Biografico degli Italiani, Vol. 38 (1990).

AA VV, Storia di Torino, Vol. 6, La città nel Risorgimento (1798-1864), a cura di Umberto Levra, Torino, 2000.

 

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Articolo pubblicato il 02/05/2020