4 maggio, festa della Sindone

Di Ezio Marinoni

Ogni anno, il 4 maggio, Torino ricorda la sua reliquia più nota e importante, la Sindone.

Il culto della Sidone è approvato a partire dal 1506: Papa Giulio II, su richiesta del Duca di Savoia Carlo II, ne autorizza il culto pubblico e istituisce l’Ufficio della Sindone, fissando la celebrazione della festa al 4 maggio.

La data non è casuale, perché cade il giorno successivo alla festa dell’Esaltazione della Croce (che si celebrava il 3 maggio; la Riforma Liturgica del Concilio Vaticano II l’ha spostata al 14 settembre, come “Trionfo della Croce”; nello stesso giorno del 320 Elena ritrovò la Vera Croce).

La prima notizia riferita con certezza alla Sindone in Occidente risale al 1353: il 20 giugno il Cavaliere Goffredo (Geoffroy) di Charny, che ha fatto costruire una chiesa nella cittadina di Lirey, dona alla collegiata della chiesa stessa un lenzuolo, che dichiara essere la Sindone che avvolse il corpo di Gesù, senza spiegare come ne sia venuto in possesso.

Secoli dopo, nel 1855, quasi a comprova della sua affermazione, si ripesca nella Senna un medaglione votivo (ora conservato al Museo Cluny di Parigi): su di esso sono raffigurati la Sindone - nella tradizionale posizione orizzontale con l’immagine frontale a sinistra -, le armi degli Charny e quelle dei Vergy, il casato di Giovanna, consorte di Geoffroy.

Altre notizie provengono dal cosiddetto “memoriale d’Arcis”: una lettera indirizzata nel 1389 da Pietro d’Arcis, Vescovo di Troyes, all’Antipapa Clemente VII (si era nel periodo dello scisma e degli Antipapi avignonesi) protesta contro l’ostensione organizzata da Goffredo II, figlio di Geoffroy.

Il Vescovo D’Arcis segnala che la Sindone era stata esposta una prima volta circa trentaquattro anni prima, quindi nel 1355 (alcuni storici propendono per la data del 1357, dopo la morte di Geoffroy, ucciso in battaglia a Poitiers il 19 settembre 1356), per attirare fedeli e donazioni.

Goffredo II invia a sua volta un memoriale, di segno contrario. Nel 1390 l’Antipapa Clemente VII decreta una soluzione di compromesso: da una parte è autorizzata l’esposizione della Sindone a patto che si dichiari che si tratta di una “pictura seu tabula”, cioè un dipinto (“si dica ad alta voce, per far cessare ogni frode, che la suddetta raffigurazione o rappresentazione non è il vero Sudario del Nostro Signore Gesù Cristo, ma una pittura o tavola fatta a imitazione del Sudario”); dall’altra, a Pietro d’Arcis è chiesto di cessare le critiche contro il telo.

Nei decenni successivi scoppia una disputa per il possesso della Sindone. Nel 1415 il Conte Umberto de la Roche, marito di Margherita di Charny (figlia di Goffredo II), prende in consegna il lenzuolo per metterlo al sicuro, in occasione della guerra tra la Borgogna e la Francia. In seguito Margherita si rifiuta di restituirlo alla collegiata di Lirey reclamandone la proprietà. I canonici la denunciano, la causa si protrae per anni e Margherita inizia a organizzare una serie di ostensioni nei suoi viaggi in Europa (intanto il Conte Umberto muore, nel 1448). Nel 1449 a Chimay, in Belgio, dopo una di queste ostensioni, il Vescovo locale ordina un’inchiesta, a seguito della quale Margherita deve mostrare le bolle papali in cui il telo viene definito una raffigurazione: l’ostensione viene interrotta e la nobildonna è espulsa dalla città. Negli anni successivi continua a rifiutare di restituire la Sindone finché, nel 1453, la vende ai Duchi di Savoia, forse per liberarsene e allontanarsi da sé critiche e accuse. Nel 1457, a causa dei suoi comportamenti, viene scomunicata.

Dopo aver trasferito, nel 1562, la capitale a Torino, nel 1578 il Duca Emanuele Filiberto decide di portarvi anche la Sindone, per abbreviare il viaggio dell’Arcivescovo di Milano, Carlo Borromeo, che intende sciogliere il voto fatto durante l’epidemia di peste degli anni precedenti, di raggiungere a piedi la Sindone. Il suo pellegrinaggio durerà cinque giorni.

Nel 1898 Secondo Pia è il primo a fotografare la Sindone. Quel negativo “rovesciato” è un’immagine destinata a destare infiniti interrogativi.

La Sindone ha lasciato Torino soltanto una volta, dal 25 settembre 1939 ad ottobre 1946, per volontà del Cardinale Fossati che non voleva esporla ai rischi della guerra. In quel periodo è stata custodita in incognito nel santuario di Montevergine, in Campania: portata in auto da Monsignor Paolo Brusa, Cappellano del Re e Custode, insieme a Monsignor Giuseppe Gariglio, secondo Cappellano.

Nel 1983 muore l’ultimo Re d’Italia in esilio, Umberto II: egli lascia per volontà testamentaria la Sindone al Vaticano, con il vincolo della sua permanenza a Torino.

Dopo le prove medievali, il Telo ha subito anche il furioso incendio del 1997; originatosi nelle soffitte di Palazzo Reale, ha devastato il Duomo e praticamente distrutto la Cappella della Sindone, capolavoro barocco creato da Guarino Guarini (la cui cupola sembra più alta del reale grazie ad una fantasmagorica illusione ottica inventata dal suo progettista).

La Sindone è stata indagata da molte discipline scientifiche; nemmeno le analisi al radiocarbonio sono state esaustive, perché contestate nel merito e nel metodo da alcuni studiosi della materia.

È stata definita “stupefacente testimonianza che ci parla, nel suo silenzio, in maniera meravigliosa” (da S. Giovanni Paolo II); Papa Francesco ha invitato a lasciarci “raggiungere da questo sguardo, che non cerca i nostri occhi ma il nostro cuore”.

Autunno 1978. Ho un ricordo particolare della mia prima visita alla Sindone e di un libro di Ito De Rolandis, che divorai in pochi giorni, tanto era affascinante (lo conservo come un’altra reliquia).

La mia mente ritorna ad un buio pomeriggio nella chiesa della Misericordia, in via Garibaldi (così chiamata dal nome della Confraternita alla quale viene affidata dal XVII secolo); lo scrittore astigiano è intento a spiegare ad un gruppo di giovani studenti il motivo del suo romanzo storico.

Il libro trae spunto da alcune incursioni che avvenivano all’interno del Duomo di Torino; suonava l’allarme, arrivava una volante e non si trovava il colpevole dell’intrusione. Partendo da questi fatti ripetuti, De Rolandis inizia una ricostruzione giornalistica, basandosi sui Vangeli come fossero un rapporto di Polizia (a quell’epoca scriveva in cronaca nera per la Gazzetta del Popolo) e arriva a dare una spiegazione scientifica alla sparizione del corpo di Cristo dal sepolcro (o alla sua Resurrezione, per i credenti).

A distanza di quasi quarantadue anni da quel giorno ricordo con la stessa immediatezza le parole di un uomo di chiesa che era presente a quella visita. A una domanda sulla autenticità della reliquia, risponde: «Chi crede, non ha bisogno di prove scientifiche. Chi non crede, perfino se la scienza dimostrasse che è un lenzuolo del I secolo, proveniente da Gerusalemme e che ha avvolto il corpo di un tale Gesù descritto nei Vangeli, direbbe che quell’uomo era un mortale come noi e non il Figlio di Dio».

Credo, in ogni caso, che nessun reperto storico o archeologico abbia ispirato e prodotto una pari quantità di studi, convegni, ricerche e pubblicazioni, a dividere la comunità degli esperti e degli studiosi. La sua origine e la sua conservazione potrebbe rimanere un enigma insoluto.

 

Bibliografia

Ito De Rolandis – Attacco alla Sindone – SEI 1978

@Ezio Marinoni

 

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Articolo pubblicato il 04/05/2020