Le Casermette di Via Veglia, a Torino
Quinta Elementare alle Casermette di Torino (1955)

Il “Centro di Raccolta Profughi” nei ricordi di Vieri (Prima parte)

A Torino, al confine con Grugliasco, le Casermette di Via Veglia sono oggi soprattutto note per le grandiose strutture occupate dalla Polizia di Stato e dai Carabinieri. Molto meno noto il fatto che nell’immediato dopoguerra abbiano accolto i profughi Giuliani e Dalmati tanto che spesso nei social, dove si parla della vecchia Torino, si leggono confuse memorie che mescolano generici rifugiati con immigrati meridionali. Conoscendone la “competenza”, ho chiesto all’amico Vieri una testimonianza. Sono così nati questi ricordi vissuti, esposti con ironia e autoironia discreta e coinvolgente, che fanno conoscere un aspetto poco noto del passato prossimo torinese (m.j.).

 

Tanto piacere per la conoscenza

 

Buongiorno, mi presento: sono Vieri, nato a Fiume l’11 Gennaio 1946 e, come tanti altri Giuliani o Dalmati, ho vissuto l’esperienza del C. R. P. ovverosia i “Centri di Raccolta Profughi” dal mio arrivo in Italia, nel mese di Ottobre 1948 e fino a fine 1955.

 

Vieri è il mio nome.

 

“Nome”, che ho scoperto essere italiano e molto antico (XIII sec.), ma tralascerei di parlare di chi lo portò allora, tale Vieri de’ Cerchi, politico e banchiere fiorentino per menzionare con maggior enfasi il Vieri da Vallonara, che contese al Rinaldo d’Angarano la mano della bella Principessa Lionora, sfidandolo ad un singolare duello: la partita a scacchi umani in piazza a Marostica, uscendone vincitore.

 

Comincio a macinare ricordi sensati proprio dalle Casermette di Torino anche grazie ad alcune fotografie, ma sicuramente grazie alle emozioni vissute ed incise, mentre dei campi di Chieti e di Mantova (17/10/1948 – 03/05/1951) ho l’affioramento di tali “sensazioni” da qualche flash e dalle date sui documenti.

 

Felicemente pensionato, ho un percorso tipico “da città industriale”: diploma di scuola professionale > operaio Michelin > tecnico di manutenzione per fotocopiatrici > venditore (vari generi e/o tipologie di prodotti) da prodotti chimici agli arredi per negozio > artigiano installatore elettrico > ufficio tecnico in Università.

 

Ma tutto questo ne racconta soltanto un pezzo, quello ufficiale e principale; a volte capita di essere impallinati di musica, sia da ascoltatore che da “produttore”, e il fatto di instaurare al volo un rapporto umano aiuta molto; casualmente conosci chi ne canta due in piazza, Pino, ci torni, poi suoni (pardon: strimpelli, ché far musica bene è tutt’altra cosa), poi conosci altre realtà, che ti metti a frequentare; poi conosci il Michele della situazione, che conosce molto bene usi e costumi del suo Piemonte, e da lui impari a leggere ed a scrivere il piemontese, vai con queste “Voci Grigie” a cantarne due in una qualche biblioteca o luogo di ritrovo, circoscrizionale; poi conosci Milo, poi diventi nonno a tempo pieno e molli tutto per altri impegni. Tutto, ma non la musica di piazza, in piazza, dove ti capita di conoscere persone che mai più avresti immaginato, una che magari sta in Giappone (vero) o chi t’invita in Olanda «Venite, che ho tante camere e non ci sono problemi». Adesso invece è un pasticcio "per pandemia" anche con le prove del coro: eeeh...

 

Ritrovati, io e Milo, abbiamo imbastito... ancora svegli? Siete riusciti a leggere fin qui? Ecco, dicevo, vi offro una cosina da leggere che riguarda i miei ricordi del Campo Profughi di Torino, via Veglia, che credo riporti un aspetto sconosciuto o quasi, ai torinesi di ieri e di oggi, cioè come sia vissuta una Comunità numerosa, onesta, laboriosa e rispettosa, mai abituata a fare chiasso o gesti clamorosi. Specificandovi che “Il campo”, anche se fisicamente erano due realtà distinte e vicine, nella memoria di tutti quelli che ci sono passati; chi ne parla e per qualsiasi motivo lo faccia abbina sempre un sorriso, a quei ricordi. Significativo, o no?

 

Cordialmente,

Vieri

Casermette e... (e la Luna?)

 

Chi gettò la luna nel rio, chi la gettò?”. Ma questa volta non è una domanda diretta, è un originale preambolo: giorni fa, parlando con Milo, era saltato fuori il discorso delle “Casermette” di Borgo San Paolo. Si, quelle di via Veglia. Erano due ex caserme, adattate all'utilizzo per C.R.P. -Centro Raccolta Profughi- cioè svuotate di ogni tipo d'arredo e, credo, in ordine per il resto. Beh vi spiego subito il titolo, il resto del racconto seguirà.

 

Nonostante le difficili condizioni del momento (sono arrivato a Torino il 3 maggio 1951) la nostra gente, cioè i Profughi Giuliano Dalmati, hanno continuato per sopravvivenza morale quello che era stato il loro stile di vita, anche facendo in modo che il figlio imparasse musica, imparasse a suonare uno strumento: “Chi gettò l luna nel rio...” era una canzone attuale, e doveva avere una sorta di valenza musicale o didattica perché la si sentiva spesso suonata da una fisarmonica. Tra coloro che così si esercitavano c'era Toni, amico che frequento ancor oggi per “ciacole” o per musica o ancora in Associazione. Ecco spiegato per quale motivo mi pare sia corretto e curioso usare quel titolo come... titolo.

 

Avevo poco più di cinque anni, e qui torno alla sopravvivenza, ma quella più immediata: ricerca di un lavoro, di una sorta di abitazione, il reintrecciare una vita di relazione con gente nuova, e così via; ricordi del bambino e deduzioni dell'adulto o del vecchio. Sono nato a Fiume e siamo arrivati a Torino da Mantova, prima ancora eravamo a Chieti, dal mese di ottobre 1948, in strutture analoghe. Ricordi sbiaditissimi di Chieti: sentivo parlare in un modo che non comprendevo, ma stavo imparando la vita propria dei miei due anni e mezzo.

 

Anni fa ci sono tornato, in via Padre Valignani, ma non ho avuto la fortuna di poter entrare perché la struttura era chiusa per lavori; di Mantova qualche cosina in più, due o tre famiglie particolarmente vicine umanamente ed affettivamente, nella stessa condizione, ricordo confuso di uno spettacolino al Teatro Sociale, ma visto dal palcoscenico per via di una canzoncina cantata ed un mare di caramelle piovute durante l'esecuzione. Si può osservare un'altra curiosa coincidenza con il “pianeta musica”.

 

Il mio primo ricordo di Torino è una gran pioggia, proprio all'arrivo a Porta Nuova, quel 3 maggio e, molto vagamente, un camion col cassone; poi, sì sì, stanze strane, amici nuovi, giochi ma, sostanzialmente, stavo bene ed ero tranquillo. Tutto questo significa che molti “grandi” sono riusciti a pararmi i colpi, a farmi vivere un'esistenza protetta fino ai miei primi passi da ometto autonomo: a volte mi sono rivisto nel ragazzino di Benigni nel film “La vita è bella” e solo dopo mi sono reso conto, mentre allora mi pareva tutto normale.

 

(Fine della prima parte - Continua)

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Articolo pubblicato il 09/05/2020