Rapporti tra essere umano e gli altri.

Necessari per la sopravvivenza, essenziali per la vita.

INTRODUZIONE

 

In ogni cosa che l’essere umano desidera, pensa e fa, non vi è per lui quasi nessuna possibilità di fare una scelta cosciente. Infatti l’azione svolta nel suo intero sistema dalle peculiari funzioni, disgiunte o combinate, dei due programmi, automatico e cosciente, dai quali dipende, è quasi del tutto sotto il controllo del primo.

 

Esso funziona continuamente elaborando ad altissima velocità gli impulsi che riceve, rinviandoli poi al nostro sistema per metterlo in azione mentre siamo svegli o dormiamo.

 

Diversi milioni di segnali al secondo informano la struttura operativa del nostro sistema che potremo paragonare ad un enorme e potentissimo treno con centinaia di migliaia di vagoni dentro i quali milioni di milioni di passeggeri, specializzati in ogni tipo di attività, lavorano mentre viaggiano, percorrendo una sconfinata rete di binari che collegano fra loro tutte le parti dell’universo, partecipando, del tutto inconsciamente, alla sua espansione.

 

In sintesi il sistema automatico governa il 98% circa di ciò che pensiamo e facciamo ogni giorno sotto forma di quelle azioni ripetitive che chiamiamo abitudini, guidandoci come animali ammaestrati, mentre solo il 2% circa è diretto dall’osservazione cosciente, quando essa risulti attiva.

 

Il nostro sistema cosciente, invece, funziona a bassissima velocità e in modo discontinuo anche quando siamo svegli. Sono poche decine di segnali al secondo, ma, e questa è una cosa importantissima, esso rappresenta il sistema di scambi, manovrando il quale si può far prendere la direzione voluta al treno e, di conseguenza, ai suoi passeggeri. Ed è così che il loro lavoro può essere condotto in un’altra direzione per un altro fine.

 

Nel caso in cui l’agire umano sia quasi del tutto sotto il controllo del programma automatico, il suo modo di comportarsi sarà, nel migliore dei casi, simile ad un animale più o meno civilizzato, mentre nel peggiore dei casi, a causa di interferenze, non comprese, del secondo programma, potrà degenerare sotto tale livello (vedremo a breve cosa questo comporti praticamente).

 

Peraltro non è possibile, in questo mondo neppure ancora del tutto tridimensionale, che il programma cosciente possa agire in modo esclusivo in un qualsiasi essere umano, quindi si può facilmente intuire quali ne siano le conseguenze.

 

L’essere in questione sarà quasi del tutto incoerente verso entrambi i programmi, evidenziando questo stato distorto nei suoi comportamenti.

 

Per terminare questa lunga premessa, che farà anche da cappello ad ogni articolo dei seguenti tre così come lo ha fatto per i precedenti, è doveroso ricordare che non è possibile passare volontariamente e stabilmente sotto il programma operativo cosciente, in modo prevalente, se non attraverso un adeguato processo di preparazione e trasformazione dell’intero sistema umano.

 

Ma questo è argomento che non tratteremo in questo frangente.

 

Alla luce di quanto esposto passiamo quindi a riflettere sui …

 

RAPPORTI CON GLI ALTRI

 

Specchio, specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame?

È la domanda che la matrigna di Biancaneve continua a fare allo specchio in cui si riflette la sua immagine. Sappiamo tutti quali ne siano state risposta e conseguenze.

 

Gli altri sono il nostro specchio; questo è il problema. Essi rimandano a noi l’immagine di noi stessi che non vogliamo vedere, anche quando riferita ad un aspetto di noi stessi migliore che, nonostante ciò, non vogliamo accettare.

Ci basta intercettarne pochi accenni e sappiamo già che cosa gli altri intendano dire o fare, poiché, come risultato dell’azione dei nostri neuroni-specchio, ne riconosciamo immediatamente il senso.

 

In questo momento di pandemia temiamo gli altri come se fossero volontariamente untori al soldo del virus; ma ogni uomo è un microcosmo e come tale contiene già tutto in sé.

 

Pertanto qualcosa può attivarsi in lui solo quando ci sono tutte le condizioni adatte; non ne basta una sola, QUELLA!

 

Colui che è infetto, con o senza sintomi, costituisce uno degli elementi ancora mancanti rispetto a quelli preminenti già insiti nell’infettato come le tessere di un puzzle al quale ne servano ancora poche per essere completo. Che sia quella, o un’altra qualsiasi, l’ultima che serve a chiudere il puzzle ha poca importanza.

 

Ma noi tendiamo sempre a individuare, in qualcuno o qualcosa di specifico, un colpevole per quello che ci accade, abbiamo bisogno di un capro espiatorio su cui scaricare tutte le nostre paure, nel tentativo di esorcizzarle, sforzandoci in ogni modo di cercarle e circoscriverle sempre al di fuori di noi, da un’altra parte, il più possibile diversa e lontana da noi. E poiché il diverso ci fa paura, il cerchio si chiude e il processo riparte nuovamente più forte di prima.  

 

Una visione di questo tipo porta inevitabilmente alla degenerazione del rapporto con gli altri; li sentiamo come una minaccia che provoca reazioni istintive di ira o collera, spingendoci ad agire peggio degli animali quando sono braccati o aggrediti.

 

Sotto la spinta di questi impulsi e reazioni cambiano perfino i nostri connotati fisici; si alterano lo sguardo e i lineamenti del volto. La respirazione diventa affannosa fino quasi ad arrestarsi.

 

Di conseguenza compaiono risentimento, collera, aggressività e violenza, comportamenti che i mass media non evitano di sottolineare ripetutamente ad ogni istante di ogni giorno, iniettandone dosi massicce in ogni essere umano che non sa o non è più in grado di difendersi da tali veleni letali per la coscienza.

 

Così si traducono in memoria operativa, in stereotipati riferimenti, in modelli preconfezionati di risposta pratica per i malcapitati, che, covati per un tempo più o meno lungo, esplodono quando meno ce lo aspettiamo, facendo disastri nelle relazioni con gli altri, distruggendo in pochi istanti ciò che si era costruito con grande dedizione ed energia fino a quel momento.

 

Ed anche quando abbiamo la forza di trattenerci da tali esplosioni le cose non si mettono bene; la collera repressa sotto una parvenza di educazione, dolcezza o mitezza, si accumula in un serbatoio di odio infinito che spesso innesca la follia. In tale frangente, venendo meno la paura di un castigo coerente, non vi è più limite alle atrocità che si possono commettere.

 

Spesso in nome di un sentimento d’amore mal compreso.

 

Le cronache sono ormai piene dei resoconti di tali evidenze, sia individuali che collettive.

 

Per contro, in senso positivamente costruttivo, possiamo notare atti di solidarietà e “altruismo” che spingono alcuni, molti per la verità, a costituirsi in associazioni di promozione sociale o volontariato, il cui operato supplisce alle carenze di una società ricca ma disattenta ai bisogni di una fascia consistente dei propri appartenenti. Salvo risvegliarsi estemporaneamente in situazioni particolarmente gravi e vicine sotto forma di solidarietà.

 

Una alternanza di comportamenti contraddittori che possono manifestarsi nella stessa persona, insieme a momenti di chiusura o apertura all’altro imprevedibilmente schizofrenici.

 

Lo stato di squilibrio costantemente reiterato fin dal momento in cui ci si sveglia, non termina neppure con il sonno, per ritornare, ancora più forte, al successivo risveglio.

 

Così tale stato permane nei confronti dei colleghi sul posto di lavoro, con il coniuge o il compagno e i figli, senza risparmiare perfino di ritorcersi verso colui che ne è affetto. Il risultato non può che essere lo sfinimento, l’emorragia inarrestabile di energia.

 

Tuttavia, anche in questi casi, si può far appello ad una caratteristica della coscienza, che può essere attivata da un impulso non proveniente dal sistema automatico, chiamata mitezza. In essa confluiscono, e contribuiscono al suo radicamento nell’essere umano, aspetti importanti quali la conoscenza, la comprensione e la perseveranza.

 

La mitezza aiuta a vedere le cose nella loro essenza, a considerarne gli aspetti positivi e negativi, accettandole per quello che sono, e il più delle volte, mentre ancora le si sta osservando, vederle risolversi, in modo impensato, nel migliore dei modi.

 

Propedeutica a tal fine è ancora l’osservazione cosciente che ci permette di non reagire automaticamente prima ancora di aver compreso cosa stia succedendo.

 

Gioverà quindi osservarsi mentre questo comportamento si manifesta, per comprendere che tutto ciò si origina principalmente perché non vogliamo subire ciò che invece vorremmo fare ad altri, e una volta imparata la lezione provare a contare fino a dieci prima di reagire un’altra volta.

 

In quei pochi secondi tutto sarà già cambiato e lo spazio intorno a noi sarà nuovamente libero, non più infestato, da fantasmi creati da noi stessi.

 

E per finire … come suggeriva un saggio:

 

  • se ti prende un pensiero di collera, impediscigli di irrompere nel cuore travolgendolo;
  • se è già arrivato nel cuore, evita che sia visibile sul volto alterandolo;
  • se è già comparso sul volto, trattieni la lingua mordendola;
  • se è già uscito dalla bocca, evita almeno di agire da invasato;
  • e, prima che puoi, … estrailo dal cuore con ferma gentilezza e chiedi scusa.

 

Esercitando ciò che è nelle nostre possibilità si impara l’arte di convivere con l’imperfezione, di accettare gli altri così come sono, con i loro pregi e le loro debolezze, facilmente riconoscibili per il fatto che sono anche i nostri.

 

Senza dimenticare che non sarebbe possibile stare isolati dagli altri in quanto ogni nostra necessità, dalla più semplice alla più complessa, trova risposta nelle loro competenze e attività senza le quali, come abbiamo potuto sperimentare direttamente in questi tempi, non potremo sopravvivere a lungo.

 

Se ognuno fa la sua parte senza attendere che prima la facciano gli altri, la vita diventa tutta un’altra storia.

 

schema e testo

pietro cartella

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Articolo pubblicato il 16/05/2020