Händel: Splendori e miserie dell’Opera Italiana

Proseguiamo la nostra disamina della vita di Georg Friedrich Händel con gli anni della sua attività operistica.

Che fare? Questa domanda deve avere accompagnato parecchie notti insonni di Händel, dopo aver saputo che sul trono d’Inghilterra sarebbe salito Giorgio di Hannover, il generoso mecenate che aveva abbandonato due anni prima con una leggerezza per lui assolutamente inconsueta. Da un lato c’era la possibilità di tornare in Italia, dove era ancora ricordato con stima e affetto, ma era troppo orgoglioso per imboccare una strada che sapeva di fallimento. Dall’altro si poteva affrontare il nuovo sovrano, con tutti i rischi del caso.

 

Alla fine, il compositore optò per la classica via di mezzo, rimanendo in Inghilterra e cercando qualche nobile disposto a sostenerlo, in attesa di una schiarita con la corte reale.

Nel giro di breve tempo, Händel venne sollevato dalle sue angustie da due aristocratici, Richard Boyle, terzo conte di Burlington, e James Brydges, primo duca di Chandos, che lo ospitarono per diversi anni nelle loro sontuose dimore.

 

A differenza di come si era comportato in precedenza con il futuro re, Händel si sdebitò abbondantemente con questi ricchissimi mecenati, componendo per loro alcuni dei suoi capolavori più famosi, l’opera Ariodante per Lord Burlington, e la prima versione dell’oratorio Esther, il masque Acis and Galatea e i Chandos Anthems per Lord Chandos.

 

Per Händel la situazione si era decisamente rasserenata, in quanto poteva comporre quello che voleva, godendo di una retribuzione più che generosa, oltre che di una altissima considerazione, ma questo non gli bastava ancora. Doveva assolutamente fare la pace con il re, per diventare il compositore più importante della corte londinese. L’occasione propizia giunse nell’estate del 1717, quasi tre anni dopo l’ascesa al trono di Giorgio I, quando Händel gli offri la celebre Water Music, un’opera divisa in tre suite concepite nel più raffinato stile francese dell’epoca, organizzandone l’esecuzione durante una crociera sul Tamigi. Il monarca dimostrò di apprezzare moltissimo il dono, chiedendo che l’opera venisse eseguita per ben tre volte, fino al totale esaurimento delle forze dei musicisti e dei vogatori.

 

Dopo essere rientrato nelle grazie del re, Händel poté concentrarsi sull’obiettivo che più gli stava a cuore, ossia l’opera italiana. In quel periodo l’opera seria godeva di uno straordinario successo in tutti i paesi europei, da Lisbona alla da poco fondata capitale degli zar San Pietroburgo, e a Londra erano giunti alcuni dei compositori e dei cantanti più famosi dell’epoca, tra cui i castrati Senesino e Farinelli.

 

Per soddisfare questa straripante passione, nel 1719 un gruppo di nobili con il pieno consenso del re diede vita alla Royal Academy of Music, una vera e propria impresa finanziata da capitali privati, che aveva lo scopo di mettere in scena opere di nuova composizione. Come autori venne scelto il meglio del meglio disponibile, Attilio Ariosti, Giovanni Bononcini e lo stesso Händel, al quale venne affidata anche la direzione musicale e la ricerca dei cantanti più in vista, per soddisfare l’esigente – e volubile – pubblico londinese. Oltre a Senesino e Farinelli, Händel condusse a in Inghilterra alcune delle star più famose dell’epoca, tra cui i soprani Francesca Cuzzoni e Faustina Bordoni, protagoniste di una clamorosa lite in scena, che le vide letteralmente strapparsi i capelli e i vestiti.

 

Accolta a Londra con gli onori che in genere si riservano a una regina, la Cuzzoni divenne ben presto una delle beniamine del pubblico, ma con Händel instaurò un rapporto ricco di alti e bassi, con quest’ultimo che minacciò senza mezzi termini di gettarla da una finestra.

Nonostante i numerosi trionfi, che ben presto videro Händel prevalere sui rivali italiani, nel 1728 la Royal Academy of Music fu costretta a chiudere, oppressa dagli insostenibili costi legati ai compensi dei cantanti e ai fastosi allestimenti scenici. Nel corso delle sue nove stagioni, il compositore di Halle scrisse 13 opere nuove, che nel complesso avevano registrato ben 235 repliche, tra cui Radamisto, Ottone e Giulio Cesare, la sua opera oggi più eseguita.

 

Per ripartire, Händel diede immediatamente vita alla Second Academy, con il supporto dello svizzero John James Heidegger, ma i tempi (e i gusti del pubblico) stavano ormai cambiando, un fatto che può spiegare l’alternanza di grandi successi e di rovinosi flop di opere come l’Ezio, che fece registrare solo cinque repliche nonostante la presenza di Senesino.

 

Inoltre, nel 1733 fu fondata l’Opera of Nobility, una compagnia sostenuta dal principe di Galles Federico Luigi, che si opponeva al predominio “tedesco” della Academy händeliana, che a sua volta poteva godere dell’appoggio del re Giorgio II, che nel 1727 era succeduto al padre Giorgio I. Le due compagnie cercarono di superarsi in splendore, contendendosi i cantanti e i compositori migliori (per contrastare Händel, i vertici della Opera of Nobility avevano chiamato a Londra due pezzi da novanta come Hasse e Porpora), ma alla fine entrambe dovettero dichiarare fallimento.

 

Una delle qualità principali di Händel era sicuramente la tenacia, che nel 1734 lo spinse a continuare per la terza volta con l’opera italiana, trasferendosi al Covent Garden e mettendosi in società con John Rich, che gli suggerì di apportare alcune modifiche, tra cui l’inserimento di ampi balletti alla francese. Nonostante tutti gli sforzi – e qualche capolavoro come la bellissima Alcina – anche questa impresa ebbe esito negativo, in parte a causa del pubblico, che si era ormai definitivamente stufato dei toni eccessivamente artificiosi e stravaganti dell’opera seria, e in parte al progressivo peggioramento delle condizioni di salute di Händel, che nel 1737 venne colto da un ictus che gli immobilizzò quattro dita della mano destra, impedendogli di scrivere e di suonare l’organo e il clavicembalo.

 

Nel 1741 venne messa in scena la sua ultima opera italiana, Deidamia, che fu replicata solo tre volte, nella più totale indifferenza del pubblico. A 56 anni Händel sembrava ormai giunto al capolinea di una lunga e gloriosa carriera: per risollevarsi doveva cercare una strada nuova, in grado di fargli riottenere il favore dei londinesi, ma quale?

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Articolo pubblicato il 08/05/2020