Il mio omaggio a San Giovanni Paolo II, il Papa che ha segnato parte della mia vita

Domenico Bonvegna per Civico20News

In occasione della canonizzazione del beato Giovanni Paolo II (ieri ricorreva il centesimo anniversario della nascita),  intendo rendere omaggio al pontefice che ha segnato la parte più significativa della mia vita, con uno studio sulla sua figura, presentando e commentando alcuni libri che ho nella mia biblioteca. Spero di riuscire a utilizzarli tutti, fornendo ai lettori una interessante miscellanea. Inizio con un libro su Giovanni Paolo II, davvero singolare, un piccolo prodigio come lo definisce Sergio Zavoli nella prefazione, il libro è curato da Saverio Gaeta, “50 Parole per il nuovo millennio”, Oscar Mondadori. In poche pagine il testo riesce a contenere, quasi tutti gli argomenti su Karol Wojtyla: il dolore, la pace, la libertà, la giustizia, la persona umana e la famiglia, la fede e l’ateismo, l’economia e l’ambiente, la donna e i giovani.

Karol Wojtyla è nato il 18 maggio 1920 a Wadowice, in Polonia. A otto anni perse la madre e a venti restò orfano anche del padre. Il 1 novembre 1946 fu ordinato sacerdote e successivamente si laureò in filosofia e in teologia. Il 28 settembre 1958 venne consacrato vescovo, il 13 gennaio 1964 fu promosso arcivescovo di Cracovia e, tre anni dopo, diventò cardinale. Il 16 ottobre 1978 venne eletto Papa.
Giovanni Paolo II, ha scelto questo nome per esprimere amore e gratitudine nei confronti di Giovanni XXIII e Paolo VI. Tutti ricordiamo quella sera, quando Wojtyla, appare per la prima volta in piazza San Pietro: “Non so se posso bene spiegarmi nella vostra, nostra lingua italiana. Se mi sbaglio mi corrigerete…”. Primo papa non italiano dopo quattro secoli e mezzo. Pochi giorni dopo l’elezione, il 22 ottobre, nell’omelia della messa per l’inizio del pontificato, Giovanni Paolo II lanciò alla Chiesa e all’umanità intera un messaggio rimasto impresso nel cuore di tutti come vero e proprio programma: “Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo!Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa cosa è dentro l’uomo. Solo lui lo sa!”.

E’ veramente ricca la bibliografia su Giovanni Paolo II; nella mia biblioteca, tra biografie e saggi sul papa polacco, ne conto venticinque titoli. Forse i testi che si riescono a leggere meglio e che fanno sintesi sono quelli scritti dai giornalisti, come quello di Aldo Maria Valli, “Il mio Karol”, edito da Paoline (2008)
A cinquantotto anni, Karol Wojtyla era forte, atletico, sportivo, nuotava e sciava. Le cifre e le statistiche del suo pontificato sono da record. 104 viaggi all’estero, quasi centocinquanta visite pastorali fatte in Italia e 317 visite alle parrocchie romane, fortemente volute in quanto vescovo di Roma.

Il papa “deve avere una geografia universale. - disse a un giornalista – “Io vivo sempre in questa dimensione, nella preghiera del mattino, spostandomi idealmente lungo il globo. Ogni giorno c’è una geografia spirituale che percorro, la mia spiritualità è un po’ geografica”.
Il papa si sentiva come San Paolo, un papa viaggiatore perché, prima di tutto, missionario. Come si legge nella Redemptoris missio: “Già all’inizio del mio pontificato ho scelto di viaggiare fino agli estremi confini della terra per manifestare la sollecitudine missionaria, e proprio il contatto diretto con i popoli che ignorano Cristo mi ha ancora più convinto dell’urgenza di tale attività”.

Giovanni Paolo II fu un grande comunicatore, ha utilizzato i nuovi strumenti di comunicazione, in particolare la televisione. Aldo Maria Valli, giornalista della rai ha seguito il papa polacco in tanti viaggi, pertanto, può descriverlo meglio di altri. “Le passeggiate in alta quota, le fughe sui campi di neve, le improvvisazioni durante i discorsi, quel suo parlare in prima persona, riferendo spesso anche sensazioni intime, al di fuori dell’ufficialità, hanno consegnato al mondo un’immagine nuova del successore di Pietro, e se di questa immagine oggi possiamo parlare è perché papa Wojtyla ha quasi sempre lasciato che una telecamera lo seguisse, nei momenti belli come in quelli più tristi, nella gioia come nella sofferenza, nei viaggi come nei ricoveri in ospedale”.

Giovanni Paolo II ha fatto diventare la tecnologia moderna uno strumento privilegiato di evangelizzazione. Era un convinto estimatore della televisione, anche se in più di un’occasione ha tuonato contro l’uso distorto. Considerava la tv, come tutti i mass media, un dono di Dio per una conoscenza più profonda e una fratellanza più vera. Significativo l’episodio di Denver, negli Usa, mentre parlava della violenza nelle società avanzate, dava la colpa anche alla tv.  All’improvviso si fermò, con un sorriso furbo, indicando la telecamera, disse: “Il papa sta parlando contro la televisione proprio mentre la televisione lo sta riprendendo”.

Gesù per farsi capire parlava per parabole. Nell’era della televisione Giovanni Paolo II ha parlato al mondo soprattutto con le immagini, a partire dalla sua stessa immagine. Il papa ha dedicato molti documenti ai mezzi di comunicazione, questi potenti strumenti devono rispettare “i criteri supremi della verità e della giustizia, nell’esercizio maturo della libertà e della responsabilità”. Papa Wojtyla invita con forza gli operatori dell’informazione, specialmente se credenti, a non avere paura: né delle nuove tecnologie, né dell’opposizione del mondo, né dell’eventuale debolezza o inadeguatezza degli operatori. Comunicare è sempre un atto morale.
 

Continuando il discorso dei primati del grande pontefice polacco, Aldo Maria Valli, sottolinea il record delle canonizzazioni operate da Giovanni Paolo II: milletrecento beati (per l’esattezza 1345) e 483 santi. Per qualcuno sono stati troppi. “Perché Giovanni Paolo II scelse di beatificare e canonizzare così tante persone nel corso del suo pontificato?” Secondo Valli, per rispondere, bisogna guardare a come è cambiata la Chiesa attraverso il Concilio Vaticano II. “Se prima beati e santi erano visti per lo più come figure eroiche, poste su un piedistallo o fra le nuvole, quasi irraggiungibili per i comuni mortali, dal Concilio in poi la santità è stata presentata sempre più come una proposta di vita rivolta a tutti i cristiani, compresi i laici”. Così ora i santi, hanno “incominciato a scendere dagli altari per diventare esempi di vita cristiana senz’altro elevata ma non lontana”.

In pratica Wojtyla ci ha fatto comprendere che tutti possiamo diventare santi, anche con i nostri impegni quotidiani, in mezzo alla gente, con i problemi della nostra epoca.
Pertanto sono stati semplificati i tempi per arrivare alla beatificazione, ma questo non significa che il Papa ha “diluito” un po’ troppo l’idea di santità. La santità, ci tiene a precisare Aldo Maria Valli, non è stata banalizzata, ma è stata proposta in modo più efficace e più vicino alla vita delle persone, di ogni età, professione e condizione sociale.

Significative alcune santificazioni come quella di Pier Giorgio Frassati, un giovane dinamico e sportivo, morto a soli ventiquattro anni. Gianna Beretta Molla, medico e madre di famiglia, morta a quarant’anni nel 1962 per aver scelto di non curare il tumore di cui soffriva per consentire la nascita della sua quarta figlia. E poi i coniugi Luigi Beltrame Quattrocchi e Maria Luisa Corsini, un esempio di santità maturata nella vita di coppia.

 

Domenico Bonvegna

 

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Articolo pubblicato il 19/05/2020