Quello scambio di mano perduto

Con il coronavirus abbiamo perso la bellezza di poterci scambiare la mano

Prima dell'arrivo del virus che sta sconvogendo il mondo, una delle azioni che da sempre l'uomo è abituato a fare era quella di scambiarsi la mano, in senso di amicizia, di conoscenza, di rispetto, di pace.

Una delle teorie più diffuse, così come riporta nel suo interessante articolo Catarina Carvalho sul maggiore quotidiano portoghese il Diario de Noticias, vuole che lo scambiarsi la mano abbia origini medievali, quando un cavaliere nel darla dimostava a chi incontrava di non avere nella mano la spada o un'altra arma.

C'è anche l'ipotesi secondo cui negli USA, lo scambiarsi la mano tra i fedeli tra i quaker o i protestanti dimostrava una certa sorta di egualitarismo difronte a Dio e a tutti gli altri uomini.

In tempi più moderni, tra uomini d'affari per palesare la volontà a volersi conoscere, o durante le cerimonie religiose per scambiarsi il fatidico segno di pace, il darsi la mano continua a essere simbolo di disponibilità, fiducia, amicizia, conoscenza, pace.

Una delle ragioni per cui questo semplice gesto si è diffuso così tanto ed è stato adottato da molte culture, e soprattutto superato molte epidemie del passato, è dovuto al fatto di rappresentare la fiducia nell'altro, in qualche modo sino al punto di condividere i germi della mano del nostro interlocutore.

Proprio quelle mani che ci aiutano a comunicare con il mondo, a percepirlo e a interagire con esso stanno diventando il nostro maggior strumento di contaminazione, tanto da vedere sempre più di frequente persone, a partire dai politici, che si toccano il gomito anziché il palmo della mano, perché in fondo quel bisogno di contatto resta con noi e in noi, come qualcosa di imprescindibile cui non possiamo rinunciare.

Così come scambiarsi la mano, anche darsi un abbraccio, un bacio sulla guancia o sulle labbra, sono momenti cruciali e importanti che ci aiutano in quel processo emozionale ed empatico per entrare in sintonia con l'altro.

La digitalizzazione, i social media, la dematerializzazione, la formazione a distanza stanno da alcuni anni rendendoci sempre più fisicamente distanziati, ponendoci in contatto gli uni con gli altri attraverso arti artificiali in cui l'ambiente naturale diventa sempre più quello del cyberspazio, delle reti.

Il contatto fisico, dunque, sia nella sfera intima che in quella pubblica, ci caratterizza da sempre ed ora che non possiamo metterlo in pratica rischiamo di sentirci un po' più soli.

 

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Articolo pubblicato il 29/05/2020