2 giugno 1946: Torino alle urne

La scelta tra Monarchia e Repubblica (Di Ezio Marinoni)

Con una bella rassegna storica, due anni fa Sara Garino ricordava il 2 giugno 1946 sullo scenario nazionale.

Restringo il campo e provo a concentrare l’attenzione e il racconto sulla situazione a Torino e nella provincia.

Nella giornata del 2 e nella mattina successiva si chiede agli Italiani: “Preferite la Repubblica o la Monarchia?”.

Il 5 giugno, dopo giorni febbrili e notti insonni, non emerge ancora una risposta chiara.

A Torino, rispetto ad altre città, la votazione si svolge in un clima sereno; in altri centri del meridione i sostenitori della Corona scendono in piazza, ingaggiano battaglie di strada contro comunisti e repubblicani; in qualche caso le forze dell’ordine sparano.

Il clima è teso e il fatto più grave avviene a Napoli. La sera del 7 giugno una bomba lanciata da mano anonima a Capodimonte colpisce un gruppo di giovani monarchici reduci da una manifestazione e ferisce Ciro Martino, morto in seguito all’Ospedale degli Incurabili.

Il giorno dopo si diffuse la falsa voce dell’arrivo a Napoli di Re Umberto II. La città si agita: si forma un grande corteo monarchico che si scontra con un blocco di ausiliari di Pubblica Sicurezza inviati dal Ministro dell’interno Romita. Nello scontro muore, ferito alla testa, il quattordicenne Carlo Russo. L’8 giugno, durante altri incidenti, viene ucciso il sedicenne Gaetano d’Alessandro.

L’11 giugno, mentre si attende ormai la proclamazione ufficiale dei risultati del referendum, in via Medina avvengono gli scontri più gravi: nella via si trova la sede napoletana del Partito Comunista. Un corteo monarchico cercò di assaltare la sede per togliere il tricolore esposto senza lo stemma di Casa Savoia; la tragica giornata conteggia nove manifestanti monarchici uccisi (tra essi la studentessa Ida Cavalieri che, avvolta con un tricolore con la corona sabauda, fu investita da un’autoblindo dei carabinieri) e una cinquantina di feriti. Agli scontri partecipa anche, tra i monarchici, il futuro intellettuale comunista Biagio De Giovanni, quattordicenne che così in seguito spiega la sua partecipazione: “Già leggevo Hegel - ero monarchico perché credevo all’unita dello Stato. Scappai quando la situazione s’incanaglì”.

A Torino, culla della dinastia, i monarchici accettano con compostezza subalpina il corso degli eventi e i fan della repubblica festeggiano la loro vittoria.

In città il 2 giugno una leggera pioggerella bagna le ordinate e pazienti file dei torinesi in coda fuori dalle scuole per esprimere il loro voto, un semplice segno di matita che si sarebbe inciso come un tatuaggio incancellabile sulla pelle dello Stato.

Mentre si attende l’esito del voto, drappelli di manifestanti pacifici portano il tricolore privo dello stemma sabaudo in via Roma, in piazza San Carlo, di fronte a Palazzo Reale.

È il segno della parabola discendente di un mondo che ha avuto il suo apice meno di un secolo prima, con il Risorgimento e l’Unità d’Italia, volute da Casa Savoia.

Le terre che erano state Ducato di Savoia e poi Regno di Sardegna non sono più dei Savoia.

I giornali dell’epoca dichiarano che i voti per la Repubblica sono stati 309.699 (pari al 57,7%), mentre la Monarchia si ferma a 226.688 (42,30%).

Un cinegiornale dell’Istituto Luce rivela un particolare interessante: in molti seggi, in quel 2 giugno fatidico, ci sono state più elettrici che elettori, a testimonianza del senso civico e di partecipazione delle donne torinesi. Nel video si riconoscono anche due giocatori del Grande Torino, Felice Borel e Guglielmo Gabetto, che si recano al voto.

In provincia di Torino i cittadini chiamati al voto sono 990.363. Nella “vecchia culla della libertà in Italia” come il cinegiornale definisce Torino “la pioggia non è riuscita a scoraggiare gli elettori”; alle urne si recano in 891.522, il 90,02% degli aventi diritto. Un dato superiore a quello nazionale, che registra un’affluenza del 89,08%.

Nonostante la secolare convivenza con i Savoia, gli abitanti di Torino e provincia superano il dato nazionale nelle preferenze a favore della Repubblica: in Italia coloro che votano per la fine della Monarchia rappresentano il 54,27% dei voti validi, nella provincia torinese gli elettori repubblicani sono 489.290, il 58,24% dei voti validi, contro i 350.883 che votarono per il mantenimento della forma istituzionale del vecchio Stato Monarchico.

I Savoia, nella persona di Re Umberto, si sentono “traditi” dalla loro antica città, dal Piemonte dal quale sono venuti e che hanno reso protagonista della storia d’Italia: la città disconosce con il voto la dinastia che ne ha scolpito il volto per secoli.

A distanza di settantaquattro anni ha ancora senso parlare di quel Referendum e della sua regolarità?

Forse sì o forse no...

Nel corso di un comizio a Napoli De Gasperi dichiarare che “la questione monarchica, anziché essere chiusa, potrà, con le forme costituzionali, essere ripresa quando una più tranquilla situazione del Paese permetterà una discussione ed un voto sereno”.

Alla vigilia delle elezioni politiche del 18 aprile 1948 il successore di Romita agli Interni, Scelba, durante un comizio a Roma racconta un episodio assai curioso.  Un quotidiano lo riferì il giorno dopo in questi termini.

«Il successo maggiore è toccato al ministro degli interni, quando è tornato sul tema di Romita. Ha detto che stavolta non si avranno brogli elettorali, come quelli che si ebbero il 2 giugno 1946. A tale proposito Scelba ha raccontato che dallo scrutinio di una sezione risultò che tutti avevano votato per la repubblica. Ma il presidente del seggio disse: “Qui c’è un pasticcio senza dubbio. Mia moglie ha detto di avere votato per la monarchia e mia figlia lo stesso: possono avere detto una bugia, come fanno le donne facilmente. Ma il mio voto, per lo meno, ci deve essere. Io ho ben votato per la monarchia. La mia scheda dov’è andata a finire?”».

 

Estraggo dal testo di Giovanni Sale in bibliografia il tema dei ricorsi contro l’esito del referendum.

«L’8 giugno furono presentati due ricorsi alla Corte di Cassazione, per denunciare la procedura seguita nel conteggio dei voti del referendum. Il primo fu presentato da E. Selvaggi, segretario generale del partito democratico, di tendenza apertamente monarchica. Egli impugnava la legittimità del criterio con cui l’on. Romita il 5 sera aveva annunciato i dati relativi al referendum. Nel ricorso si diceva che la cifra della maggioranza è stata calcolata in rapporto al totale dei voti validi. Ora questo criterio contrasterebbe con il dettato dell’art. 2 del decreto luogotenenziale del 16 marzo 1946 che disciplina la materia del referendum, nel quale si dice che “la maggioranza” va calcolata sulla base “degli elettori votanti”, conteggiando quindi anche i voti nulli, le schede bianche o annullate».

 

Bibliografia

Giovanni Sale - Dalla monarchia alla repubblica. 1943 – 1946. Santa Sede, cattolici italiani e referendum.

Lucio Lami – Umberto II Il Re di maggio.

@Ezio Marinoni

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Articolo pubblicato il 02/06/2020