Händel su disco – Parte prima

Dopo aver passato in rassegna la vita e l’opera del compositore sassone, prendiamo brevemente in esame la sua vasta discografia.

Non è facile orizzontarsi nella vasta discografia händeliana, che comprende un’ampia scelta di registrazioni di vario genere, da quelle per così dire “tradizionali” effettuate oltre mezzo secolo fa, a versioni più in linea con il gusto dei giorni nostri, realizzate da ensemble di strumenti originali, con il pieno rispetto della prassi esecutiva della prima metà del XVIII secolo. Di seguito verrà proposta una breve silloge di dischi in grado di fornire un’immagine il più possibile completa della sterminata produzione strumentale e vocale del grande compositore di Halle, partendo con quelli che possono essere considerati titoli irrinunciabili, per arrivare, nella prossima e ultima puntata, a opere poco conosciute, ma non per questo meno interessanti (anzi!).

 

Per iniziare a fare la conoscenza con il sontuoso stile barocco di Händel conviene partire da quelli che sono considerati i suoi capolavori più conosciuti, ossia la Water Music, la Music for the Royal Fireworks e il Messiah, opere che anche il pubblico più digiuno di musica classica ha imparato a conoscere e ad amare, grazie al frequente inserimento dei loro motivi più emblematici in pubblicità e programmi televisivi.

 

Concepite nel più raffinato stile francese, con una serie di danze dal carattere contrastante precedute da una ouverture dal carattere astratto, le tre suites della Water Music e la Music for the Royal Fireworks hanno trovato per molti anni la loro massima espressione discografica nella versione ormai storica dell’English Concert diretto da Trevor Pinnock (pubblicata dalla Archiv Produktion), mentre oggi meritano di essere segnalate le interpretazioni di due grandi ensemble italiani, L’Arte dell’Arco di Federico Guglielmo (CPO) e l’Ensemble Zefiro di Federico Bernardini (Arcana), con quest’ultimo che abbina la Water Music di Händel all’analoga Wassermusik di Georg Philipp Telemann.

 

Della Music for the Royal Fireworks è disponibile anche una splendida versione per una nutrita formazione di soli strumenti a fiato, che ricalca l’organico utilizzato in occasione della prima esecuzione assoluta del 1749 al Green Park di Londra.

Questa edizione (Hyperion) è stata realizzata diversi anni fa dal King’s Consort di Robert King, uno dei massimi interpreti händeliani oggi in circolazione, e abbina ai Fireworks i quattro sontuosi Coronation Anthems composti nel 1727 per l’incoronazione di Giorgio II d’Inghilterra.

 

Per rendere l’idea della fama di queste opere, basterà dire che il tema principale del primo inno, Zadok the Priest, è stato scelto come motivo della sigla della Champions’ League.

Per quanto riguarda, il Messiah la scelta è semplicemente sterminata e spazia dalle interpretazioni più fastose, con centinaia di coristi e orchestre ipertrofiche, a edizioni quasi minimaliste, come quella degli Scholars Baroque Ensemble (Naxos), che 30 anni fa decise di registrare questo monumentale capolavoro con un’orchestra e un coro ridotti ai minimi termini, per metterne maggiormente in evidenza l’architettura sonora.

 

L’idea in sé non era sbagliata, ma la lettura del complesso inglese manca per forza di cose dell’impatto travolgente a cui siamo da sempre abituati. Tra le edizioni storiche meritano senza dubbio di essere citate quelle di Colin Davis (Philips), Christopher Hogwood (L’Oiseau-Lyre) e Nikolaus Harnoncourt (Deutsche Harmonia Mundi), con strumenti moderni la prima e storicamente informate le altre due, che nel loro insieme possono consentire agli ascoltatori più avvertiti di identificare qualche elemento dell’evoluzione interpretativa che ha avuto luogo tra gli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso.

 

Tra le edizioni più recenti meritano una citazione quelle realizzate dai Sixteen diretti da Harry Christophers (Coro), da Le Concert d’Astrée di Emmanuelle Haïm (Erato), da Le Concert des Nations di Jordi Savall (Alia Vox) e da Les Arts Florissants di William Christie (Harmonia Mundi), non recentissima quest’ultima, ma sorretta da un formidabile cast di cantanti e dalla fenomenale musicalità e dallo straordinario istinto teatrale di Christie.

 

Per completare il primo nucleo di una discografia händeliana, è opportuno aggiungere ancora (almeno) un disco di cantate e un’opera seria, il genere a cui il compositore sassone si dedicò anima e corpo per quasi un trentennio, prima di imboccare la strada che lo avrebbe reso il maestro indiscusso dell’oratorio inglese. Per quanto riguarda le cantate, consiglio caldamente la sontuosa edizione in sette volumi (disponibili sia separatamente sia in un cofanetto offerto a prezzo speciale) realizzata dall’ensemble di strumenti originali La Risonanza di Fabio Bonizzoni (Glossa), che ha il pregio di presentare alcuni dei migliori cantanti barocchi del nostro paese, in grado di esaltare al massimo grado gli “affetti” presenti nel testo, fornendone una lettura dai tratti spiccatamente teatrali e di gradevolissimo ascolto.

 

Una buona alternativa è offerta dall’ensemble Contrasto Armonico di Marco Vitale, che – dopo aver realizzato quattro volumi con cantanti olandesi per la Brilliant Classics – sta proseguendo il suo cammino con bellissime voci italiane per la sua etichetta Ayros.

 

Per finire passiamo ora all’opera seria, ma da dove cominciamo, tra tanti titoli interessanti?

La scelta più ovvia – ma non necessariamente la migliore – può essere costituita dall’opera che nel 1711 impose il compositore all’attenzione dell’esigente (e volubile) pubblico londinese, il Rinaldo che gode ancora oggi di fama planetaria grazie alla sua aria «Lascia ch’io pianga».

 

Di questo straordinario capolavoro meritano una citazione particolare l’edizione storica di Jean-Claude Malgoire (Sony), con nei ruoli principali di Rinaldo e Almirena vede due cantanti di lungo corso e dalla luminosissima carriera come il contralto Carolyn Watkinson e il soprano Ileana Cotrubas (che i melomani ricordano ancora con nostalgia per la sua magistrale Traviata di tanti anni fa) e quella filologica di René Jacobs (Harmonia Mundi) con Vivica Genaux e il controtenore Lawrence Zazzo.

A mio modo di vedere, il podio continua però a essere appannaggio della ormai stagionata ma formidabile edizione di Christopher Hogwood (L’Oiseau-Lyre), che può contare sulla presenza di un cast di prim’ordine, capitanato da Cecilia Bartoli e dal controtenore David Daniels, affiancati da altri eccellenti specialisti come Bernarda Fink, Luba Orgonasova e Gerald Finley.

 

Per finire, merita una segnalazione l’edizione diretta a Martina Franca nel 2019 da Fabio Luisi con l’Orchestra La Scintilla, Teresa Iervolino, Carmela Remigio e Loriana Castellano (Dynamic), che riprende – ove possibile, visto che non ci è pervenuto il manoscritto – la versione messa in scena a Napoli nel 1718 sotto la direzione del grande compositore Leonardo Leo, che – come era prassi in quel periodo – aggiunse alcune arie sue in sostituzione di quelle di Händel

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Articolo pubblicato il 02/06/2020