Il Venerabile Adolfo Barberis
Monsignor Adolfo Barberis in una vetrata della chiesa del Gesù in via Lomellina, a Torino

Di Ezio Marinoni

Ha detto che “la santità non si fa col pennello ma con lo scalpello” e non si fatica a capire il riferimento all’esperienza personale, dato che la sua vita religiosa non è stata avara di scalpellature; dalle quali emerge il profilo di un uomo dalle “virtù eroiche”, come la Chiesa ha sancito a seguito del processo di canonizzazione avviato dal Cardinale Saldarini nel 1995.

Adolfo Barberis nasce a Torino il 1 giugno 1884, in una famiglia non agiata e avara di affetti. Il papà, Carlo, è un odontotecnico novarese, la mamma Teresa Chione è di Caluso. È battezzato nella chiesa di Santa Giulia, poi la famiglia si trasferisce sotto la parrocchia di San Tommaso.

Viene ordinato sacerdote a Torino il 29 giugno 1907, nella chiesa delle Suore di Nostra Signora del Cenacolo, dal Cardinale Agostino Richelmy, che da un anno lo ha scelto come suo segretario, incarico che mantiene fino al termine di quel lungo episcopato. La fiducia del porporato nel giovane prete, che nella malattia gli farà anche da infermiere, è tale da tradursi spesso nel proverbiale “Pensaci tu”. Don Barberis ha il compito di accogliere i disperati che bussano all’Arcivescovado, tra cui un giovane povero, Giuseppe Garneri, che si prende particolarmente a cuore, aiutandolo ad entrare in seminario: diventerà Vescovo di Susa.

Don Barberis sarà un direttore spirituale molto apprezzato, consulente ecclesiastico della Società Operaia “Opera del Getzemani”, studioso della Sacra Sindone e suo devoto difensore nelle discussioni sulla sua autenticità.

Nel 1919 muoiono il suo padre spirituale, il Canonico Eugenio Mascarelli (stroncato dalla spagnola a 42 anni) e suor Virginia Bergmaschi, sua figlia spirituale. La sua morte è riportata da Monsignor Attilio Vaudagnotti in “Il cardinale Agostino Richelmy”: “Colta da rapidissimo male di petto, in un mese soggiacque al morbo, o meglio, trionfò per sempre d’ogni umana caducità. Chiese al direttore spirituale (Adolfo Barberis, N.d.A.) in che giorno dovesse lasciare la terra. Il sacerdote le rispose, a caso, che la prossima Candelora sarebbe stato un bel giorno per venire presentata al Signore dalle braccia della Madonna. Venne il 2 febbraio 1919. Alle quattro aveva domandato del padre spirituale, e quello tardando a comparire, aveva sussurrato: ‘Mi rincresce, eppure mi ha detto di morire alle quattro’. Reclinò il capo sui guanciali. Era spirata”.

L’ispirazione che segna la sua vita gli è data dalla conoscenza con i figli illegittimi, nati fuori dal matrimonio. Insieme al Cavalier Carlo Danesino, presidente del brefotrofio provinciale di Torino, pensa di creare un “Asilo materno”. Il 16 marzo 1919 è colpito da Villa Nasi, in strada Santa Margherita 140; per comprarla, vende casa sua e gli arredamenti, per raggiungere la esosa somma di 60,000 lire. Il 15 aprile vi celebra la prima Messa su un altare da campo; alla successiva processione del Corpus Domini partecipano anche i piccoli ospitati al “Istituto Rachitici”.

In una lettera al Canonico Iacomuzzi scrive: “La sostanza è questa: tentare un nuovo apostolato nel cuore stesso delle famiglie mediante il servizio loro prestato da una congregazione ad hoc e religiosa. Quello che offro loro è nuovo, assai libero e può anche essere proficuo mentre risponde ad una grande necessità dei tempi”.

Nel 1921, dopo averne condiviso la necessità con il Cardinale, inizia a curare la “moralizzazione del servizio domestico”; con un’intuizione ardita, cerca di dare formazione, istruzione e dignità alle domestiche che arrivano a Torino, spesso sfruttate e mal pagate, oggetto di angherie e seduzioni. Sempre nel 1921, su ispirazione del Cardinale Richelmy, nasce il “Famulato cristiano”, grazie ad alcune donne che si consacrano alla formazione delle persone di servizio, perché queste possano a loro volta risanare le famiglie in cui lavorano.

L’ambizione è grande quanto innovativa: far delle “serve” altrettante “Apostole”, con lo slogan: “Servire in ogni persona Gesù, portare Gesù in ogni servizio”.

Qualcosa cambia in Curia dal 10 agosto 1923, giorno in cui muore il Cardinale: da quel giorno i confratelli sacerdoti lo condannano all’isolamento.

Il segretario tutto fare, cade in disgrazia: lo si accusa di tutto e del contrario di tutto. In realtà gli si vuol far pagare l’eccessivo potere da lui esercitato”, scrive un biografo; don Barberis commenta: “Dopo la fiducia eccessiva del card. Richelmy, sono stato riguardato come indesiderabile dai Canonici, come estraneo dalla Curia”.

Allontanato dal Cardinal Fossati, viene chiamato “il prete delle serve”, con quanto di spregiativo tale definizione può contenere. “Buon maestro spirituale, ma incapace di raccogliere quattro soldi” secondo il Cardinale, la sua opera attraversa un periodo di difficoltà e povertà di mezzi, al punto che “al Famulato non accendiamo più il calorifero né stufe perché non c’è di che comprar carbone ed il panettiere si rifiuta di darci pane…”.

Accusato di “assoluta incapacità amministrativa e di ogni più oculata norma di prudenza nella condotta degli affari”, soffre in silenzio l’isolamento e le accuse, dedicandosi alla predicazione soprattutto fuori Diocesi, dove raccoglie successi che neppure si sogna con le sue “famule” e le sue consacrate.

Eppure… La Stampa del 31 agosto 1927 pubblica un articolo sulla “scuola delle fantesche”, con le sue dichiarazioni: “Le mie ragazze non si chiamano serve ma famule. Esse ci tengono molto alla distinzione e i padroni, trovandosi ben serviti, non avranno difficoltà a mantenere questo nome che non intralcia il servizio mentre dà loro una soddisfazione morale senza aumento di salario”.

L’8 dicembre 1925 prendono i voti in forma privata le prime cinque sorelle: Ida Ceresole (suor Maria), Maria Teresa Botallo (suor Agostina), Flora Bertoni (suor Agnese), suor Clara Galli e suor Agnese Maurino.

A novembre 1926 esce il primo numero della rivista “Il Famulato Cristiano”.

A ottobre 1927 il Famulato inizia il servizio presso seminari, convitti, case religiose e pensionati. Il 13 novembre si apre in corso Regio Parco 19 la “Scuola professionale esterna”.

Villa Nasi, diventando piccola, si lascia e si trasferisce l’attività a un’altra sede: Villa Consolata, per la sua devozione al Santuario torinese. Diventando piccola e scomoda anche essa il Famulato si trasferisce in via Valpiana 575 (ora via Lomellina 44, attuale sede dell’Istituto).

Manca ancora il riconoscimento canonico: il 12 dicembre 1927 don Barberis scrive a Papa Pio XI; la sua lettera è una sintesi delle “Regole del Famulato”, da lui redatte fra il 1925 e il 1927.

E proprio Papa Pio XI scrive di lui: “particolarmente compiacendosi provvida istituzione e sue liete primizie, formula voti felici incrementi nobile iniziativa, invia di cuore auspicio nuovi favori divini zelante fondatore e degna sua opera confortatrice benedizione apostolica”.

Privo ormai di tutti gli appoggi umani, tenuto al margine dall’ufficialità gerarchica, che doveva cautelarsi per ragioni di bene comune, non sorretto dall’opinione pubblica ecclesiastica e laica, fu tratto dal vicolo senza sbocco in cui era precipitato dalla libera e assoluta iniziativa della Provvidenza”, scrive lo storico Monsignor Renzo Savarino.

Predico il mese di maggio nella chiesa dei Missionari della Consolata. Predicai lo stesso mese nello stesso posto del 1933 e all’ultimo giorno un signore misterioso mi consegnò 400.000 lire, pari al fabbisogno per saldare i debiti. Accetto e segretamente confido che la Madonna ritorni a manifestare la sua assistenza” (Appunti spirituali di don Barberis, giugno 1951).

È perseguitato da problemi di salute: a partire dalla spagnola del 1919, cui fa seguito un primo intervento chirurgico, un edema polmonare, un’operazione di prostata e due per un tumore all’intestino, un collasso nel 1961 e un’importante crisi cardiaca nel 1967.

Vive tra preghiera e penitenza, assediato dai dispiaceri e dalle sofferenze fisiche, fino alla completa riabilitazione ad opera del Cardinale Pellegrino. Grazie a lui si riesce a dar sepoltura a don Barberis, mancato alla vita il 24 settembre 1967, nella chiesa del Gesù attigua alla casa generalizia.

Entrare nella moderna chiesetta a metà della salita di via Lomellina è l’incontro con un luogo di pace e silenzio; sulla destra è la sua tomba, in semplice marmo, con l’iscrizione del nome. Nei primi banchi i libri delle ore delle suore sono aperti, si può partecipare alla lettura del giorno con animo sereno.

Don Barberis è anche un cultore della Sindone, al punto che nel 1933 pubblica il libretto “Come si guarda la SS. Sindone”. Storia della reliquia, passione e devozione si intrecciano nel suo scritto. Questa è la sua “Conclusione”:

Ancora una volta, basta di guardare, basta discutere: è ora di riflettere un poco.

Adunque quando io scusavo le mie libertà, i miei vizi, le mie colpe dicendo: non è poi gran cosa, io riducevo il mio Dio in questo stato?

Perché coltivavo pensieri cattivi, il mio Dio era incoronato di spine; perché abusavo degli occhi, Gesù li dovette riempire di lacrime, di ribrezzo e poi chiuderli colla morte; perché usavo le mani a far male, il Signore le ebbe inchiodate; perché coi piedi andavo là dove trovavo occasione di peccare, a Gesù furono confitti; perché del cuore facevo strapazzo, il mio Signore ne spremeva fino all’ultima goccia di sangue.

Ecco come va guardata la SS. Sindone”.

Oltre che una profonda riflessione teologica, è uno sguardo sull’umanità che ci riconsegna don Adolfo Barberis nella sua interezza di uomo e sacerdote.

 

Bibliografia

Pier Giuseppe Accornero – Adolfo Barberis: il cuore e il sorriso di un padre - Edizioni San Paolo - 2002

Sac. Adolfo Barberis – Come si guarda la SS. Sindone – L.I.C.E. - R. Berruti & C. - Torino – 1933

Igino Tubaldo – Adolfo Barberis e la gioia del cuore – Arti Grafiche San Rocco - 1997

Attilio Vaudagnotti – Il cardinale Agostino Richelmy – Marietti, 1926

Lucio Casto/Andrea Longhi/Renzo Savarino/Giuseppe Tuninetti/Gian Maria Zaccone – Adolfo Barberis nella Chiesa torinese – Effatà - 2008

@Ezio Marinoni

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Articolo pubblicato il 03/07/2020