1960. Il Luglio di Tambroni
Fernando Tambroni

Sono trascorsi sessant’anni dalla caduta del governo sostenuto dai missini. Ora la fisionomia dei partiti è totalmente differente. Ma c’è qualcuno che ancora ricorda

Non ci è capitato di leggere studi recenti su quel periodo travagliato per la democrazia italiana se si eccettua la cronaca riportata su un giornale genovese della manifestazione  che, come ogni anno si è tenuta il 30 giugno a Genova.

Ci sono pagine di storia del nostro Paese che, a distanza di decenni suscitano ancora le dispute degli storici e dei politologi. Sta di certo che, a prescindere dalle interpretazioni, decisioni o reazioni che sono andate ben oltre ai desideri di coloro che le avevano determinate, sono riuscite ad innescar processi irreversibili.

 

E’ la domanda che poniamo ai lettori, prima di cercare di riportare i fatti. In Italia nell’aprile del 1960, dopo la caduta del Governo  Segni, il  presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, affidò l’incarico di formare il governo a Ferdinando Tambroni che il 29 aprile ottenne la fiducia di un monocolore democristiano che otteneva l’appoggio esterno dei parlamentari missini, i cui voti erano decisivi per la maggioranza.

 

Ferdinando Tambroni era stato un centurione fascista della Milizia contraerea di Ancona. Poi fedelissimo di Gronchi e soprattutto ministro degli interni ininterrottamente dal luglio 1955. Nel 1960 si svolsero le mitiche Olimpiadi di Roma ed era indispensabile che ci fosse un governo, seppur non destinato a durare a lungo, ma la situazione precipitò ancor prima del prevedibile.

 

Il 30 giugno del 1960, le strade di Genova si macchiarono di sangue. Gli scontri iniziarono dopo il corteo di protesta indetto dalla Camera del Lavoro e appoggiato dall’opposizione di sinistra contro la convocazione nella città ligure del sesto congresso del Movimento Sociale Italiano.

 

L’episodio ebbe un forte impatto politico a livello nazionale perché da poco meno di tre mesi era in carica il governo Tambroni, La novità innescò il caos nella Dc: il presidente del Consiglio fu costretto a dimettersi e Fanfani cercò di creare un esecutivo con una maggioranza diversa, ma non ci riuscì. Alla fine il presidente della Repubblica, Giovanni Gronchi, scelse di respingere le dimissioni di Tambroni.

In questo clima, l’Msi decise di convocare il sesto congresso a Genova, città decorata con la medaglia d’oro della Resistenza e da cui era partita l’insurrezione del 25 aprile 1945.

 

Il 6 giugno, i rappresentanti locali di comunisti, radicali, socialdemocratici, socialisti e repubblicani stamparono un manifesto in cui denunciavano il congresso missino come una grave provocazione, proclamando il “disprezzo del popolo genovese nei confronti degli eredi del Fascismo”. In seguito, i sindacati, la Camera del Lavoro e diverse personalità dell’Università di Genova si associarono alla richiesta d’impedire la riunione del Msi.

 

Nei giorni successivi furono organizzati diversi cortei e manifestazioni di protesta contro il congresso del Movimento Sociale. In una di queste occasioni, il 28 giugno, Sandro Pertini disse:

“La Polizia sta cercando i sobillatori di queste manifestazioni: non abbiamo alcuna difficoltà a indicarglieli. Sono i fucilati del Turchino, di Cravasco, della Benedicta, i torturati della casa dello studente che risuona ancora delle urla strazianti delle vittime, delle grida e delle risate sadiche dei torturatori”.

 

Nonostante tutto, non arrivò alcun passo indietro e il 30 giugno si svolse la grande manifestazione unitaria delle opposizioni. Tra i sindacati, solo la Uil si oppose al corteo, mentre la Cisl lasciò i propri iscritti liberi di scegliere se partecipare o meno.

 

Al termine del raduno, parte dei manifestanti si spostò verso piazza De Ferrari, fermandosi lungo la strada sia davanti al teatro Margherita (dove il 2 luglio era convocato il congresso missino) sia davanti al Sacrario dei Caduti, dove furono cantati alcuni inni della Resistenza. Di lì a breve iniziarono gli scontri con le forze dell’ordine: il bilancio finale fu di circa 200 feriti.

 

Il giorno successivo, intervenendo alla Camera, il socialista Sandro Pertini accusò apertamente la Polizia: “A provocare gli incidenti non sono stati i Carabinieri, non le Guardie di Finanza: è stata la Polizia”.

A quel punto, Prefetto e Questore di Genova cercarono di convincere il Movimento a spostare la sede della riunione, poiché il Teatro Margherita era considerato troppo vicino al Sacrario dei Caduti e il rischio di nuovi scontri era alto.

 

Alla fine il direttivo del Movimento Sociale, guidato da Arturo Michelini, annullò la manifestazione parlando di “gravissime responsabilità che da un lato i sovversivi e dall’altro il governo si sono assunti nel rendere praticamente irrealizzabile un congresso di partito e nel tollerare una sfrontata violazione del Codice penale”.

Nel processo che seguì gli scontri del 30 giugno vennero imputate 43 persone, di cui 41 furono condannate due anni più tardi.

 

Quanto al governo Tambroni, non sopravvisse un mese ai fatti di Genova: cadde il 27 luglio del 1960. Rimase l’unico esecutivo nella storia della Repubblica sostenuto dal Movimento Sociale Italiano. Per rivedere il partito di destra al Governo, si dovrà attende la “svolta di Fiuggi” del 27 gennaio 1995,con il cambio di nome e linea politica ancorata alla Destra conservatrice ed europea.

 

Dopo la caduta di Tambroni i protagonisti indiscussi della politica italiana furono Amintore Fanfani, poi detronizzato da Aldo Moro. Il 28 luglio 1960 si insediò un nuovo governo monocolore democristiano, guidato da Fanfani e appoggiato da socialdemocratici, partiti liberale e repubblicano. Tambroni non entrò a farne parte.

 

Iniziò da quegli anni il lento scivolamento della Democrazia Cristiana e del Governo, verso i socialisti sino a che nel 1963, dopo le elezioni politiche, Aldo Moro riuscì a formare il primo governo di centro sinistra, con la partecipazione organica del partito socialista italiano. Ma per cercare di capire quel che successe nella fragile democrazia italiana di quegli anni, rifacciamoci alle segrete ed eloquenti carte.

 

Da un documento rivenuto tra le carte di Fanfani, vien messo in risalto l'attivismo con cui Tambroni si mosse già tra il 1958 e il 1959 per indebolire Fanfani e per accumulare materiali utili alla propria ascesa ricorrendo illecitamente agli apparati di sicurezza di cui peraltro era responsabile dinanzi al Parlamento.

 

Colpisce in particolare la formazione di una sorta di "polizia segreta" composta da vigilantes, che Tambroni costituì nell'eventualità di un suo allontanamento dagli Interni e a cui vennero affidati compiti sia di controllo delle sezioni democristiane romane sia di sorveglianza sui comportamenti privati di avversari politici interni alla Dc. Non meno rilevante è l'intenso lavoro di pressione e adulazione a cui furono sottoposti numerosi giornalisti politici, con il contorno di profili grotteschi. Si mormorò anche di un giro di attricette, una delle quali divenuta famosa. Prassi allora formalmente condannata, dai pudibondi democristiani, ma la carne era e rimane debole.


Parrebbe ci fosse un" piano Gronchi-Tambroni" precedente alla crisi del luglio 1960 e volto a introdurre «una gestione personalistica e un modello di Governo attraverso cui guidare il Paese al di sopra dei partiti e della società civile, probabilmente nell'intento di ratificare il rafforzamento di fatto delle prerogative del presidente della Repubblica e certamente di coagulare forze che miravano a rompere, come era accaduto in Francia, il farraginoso sistema dei partiti aggravato in Italia dall'ipertrofia del partito dei cattolici».

 

Certo è che secondo una nota informativa anonima e datata 5 febbraio 1959 appare anche come una tappa del tradizionale dualismo conflittuale tra apparati di sicurezza dello Stato. Infatti, il dossier fu realizzato da uomini del Sifar, presumibilmente su invito di Fanfani, e deve dunque essere letto nel quadro delle tensioni tra il servizio di sicurezza interno e la direzione Affari riservati di stretta osservanza tambroniana.

 

Un dossier che fu quindi concepito come strumento di lotta politica dallo stesso Fanfani e che ebbe un qualche ruolo nell'impedire che Tambroni fosse confermato al vertice degli Interni nel Governo Segni del 1959. Un quadro nel quale si inserisce anche Aldo Moro, che proprio in quelle settimane emerge come leader democristiano alla guida dei Dorotei e che era talmente consapevole delle manovre del ministro degli Interni da chiedere ai Carabinieri di vigilare sui vigilantes di Tambroni. 

 

Purtroppo già allora eravamo in  presenza di elementi istituzionali e informali, costituzionali e materiali, ordinativi e sovversivi nel medesimo progetto di Governo.

Di Sifar ne abbiamo sentito parlare a lungo anche nel 1964 e sulle trame ordite  o favorite da presidenti della Repubblica in Italia, potremo purtroppo parlarne a lungo. Questa è sola la prima tappa!

 

 

 

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Articolo pubblicato il 05/07/2020