Catene per chi è fedele a Cristo - Parte 2

La vicenda cinese tra gli anni Quaranta e gli anni Settanta del secolo scorso

I testi proposti offrono un contributo prezioso a chi voglia conoscere che cosa sia stata, nei fatti, la vicenda cinese tra gli anni Quaranta e gli anni Settanta del secolo scorso: gli anni del mito di Mao.

Ancora una volta il libro cita il cardinale Zen:“Per molti anni il maoismo è stato esaltato, oltre il limite della ragionevolezza. Anche coloro che non erano d'accordo non hanno avuto il coraggio, o la libertà interiore, di parlare fuori dal coro ideologico, forse per non essere annoverati fra i reazionari”.

 

Quei pochi storici come Stefano Cammelli, che si sono occupati dei massacri di milioni di cinesi ad opera del comunismo maoista, hanno potuto sostenere dopo anni di seri studi che “la storia della rivoluzione cinese, avventura ideologica e mitica, alla quale buona parte della sinistra europea si è rifatta con ammirazione, va sostanzialmente riscritta. Il j'accuse di Cammelli suona inequivocabile: gli storici occidentali hanno ignorato le fonti missionarie, privandosi così di una componente preziosa, anzi irrinunciabile”.

 

Cammelli accusa “la comunità degli esperti” di aver alzato “un muro di così alte dimensioni che ancora oggi pesa in molti ambienti universitari”, sopratutto nei riguardi di chi coraggiosamente denunciava la vera realtà della politica maoista. “Nessuno più lavorava. Giovani e vecchi, senza distinzione, passavano tutto il tempo fra 'riunioni di massa' e 'sessioni di lotta'[...] Non si è lontani dal vero quando si afferma che, in quegli anni, il Paese era diventato un gigantesco manicomio”. Sono queste, delle “parole che pesano come macigni. Abissalmente lontane dall'entusiastica descrizione che, come detto, della situazione cinese hanno offerto, per anni, maitres a' penser di casa nostra, affascinati e infatuati del grande Timoniere e dell'immane e azzardato esperimento sociale da questi condotto per decenni”.

 

Giovanni Liao Shouji, in “La mia vita nei laogai”, descrive la riduzione di emozioni e sentimenti che la prolungata vita nel carcere procurava ai detenuti: “siamo davanti all'annientamento scientifico, perversamente perseguito, dell'umano. Altro che la 'liberazione' dipinta dalla propaganda maoista!”. Ormai è storia come negli anni sessanta, numerosi intellettuali occidentali renderanno la figura di Mao popolare fino a sfiorare l'idolatria.

Dopo le recenti acquisizioni storiografiche che permettono di giudicare oggettivamente la rivoluzione di Mao Zedong, si può affermare che il “Sole rosso” sia responsabile – direttamente o meno – di crimini pari o addirittura superiori, per crudeltà, intensità e durata, a quelli di Stalin e dello stesso Hitler. “Un ex gerarca maoista riparato all'estero, Chen Yizi, afferma di aver visto un documento interno del partito comunista che quantificava in ottanta milioni il numero dei morti 'per cause non naturali' nel periodo del 'Grande balzo in avanti' “.

 

Certo ancora molto lavoro si deve fare per far conoscere le atrocità del comunismo maoista, molto aveva fatto Harry Wu, recentemente scomparso in circostanze misteriose, uno dei più famosi dissidenti cinesi, che ha documentato numero, caratteristiche, funzionamento dei campi di lavoro cinesi, anche se siamo ancora lontani dal conoscere nel dettaglio la vita di questi campi, come è avvenuto per i gulag sovietici, grazie a Solzenicyn.

 

Leggendo In catene per Cristo troveremo diversi fatti che dimostrano la vera natura  intrinsecamente violenta del maoismo. I diari dei nostri protagonisti elencano diversi episodi, diversi crimini commessi dai carcerieri come quando ti processavano pubblicamente e dovevi chinare il capo, se non lo facevi, ti mettevano una grossa pietra al collo per obbligarti ad abbassare la testa. E' capitato diverse volte. Nelle carceri regnava la delazione, non ci si poteva fidare di nessuno, si veniva incoraggiati a fare la spia. In questi campi di lavoro a mani nude, regnava la fame nera, oltre che al freddo polare.

 

Alla fine dell'introduzione Fazzini ci tiene a precisare che questi testi devono essere letti non soltanto come documenti storici, ma soprattutto dev'essere una lettura di tipo spirituale.“Gli stessi protagonisti di queste vicende, pur prendendo le distanze dal comunismo, mai si avventurano nella contro-propaganda, nell'ostilità o nella vendetta. Né lo faremo noi. Preferiamo assumere lo stile, autenticamente evangelico, di questi martiri che sempre sono stati convinti di una cosa: ossia che la loro sofferenza, vissuta e accettata in nome della fede, parlasse ossia più delle parole, arrivando persino a far breccia nel cuore dei persecutori”.

 

Certo l'atteggiamento dei martiri, protagonisti del libro, è giusto, loro hanno subito ogni indicibile persecuzione e riescono anche a perdonare. Diverso dev'essere l'atteggiamento dello storico o del politico, loro devono cercare sempre di far conoscere la verità e soprattutto evitare di non cadere in quegli atteggiamenti ideologici che hanno portato alle aberrazioni dei vari comunismi, quindi se occorre devono diffondere un sano anticomunismo.

Nel testo si possono leggere le descrizioni dell'efferatezza dei processi, le atrocità delle torture, i ferri, le catene ai polsi e alle caviglie sanguinanti, la diabolica crudeltà della “rieducazione”.

 

Il racconto di come la liturgia eucaristica è stata celebrata e vissuta anche in proibitive condizioni di prigionia, in questo caso da parte di un vescovo e di umili fedeli, tutte giovani donne più una bambina di soli 4 anni, dalla fede così forte nel sacramento culmine e fonte della vita della Chiesa, da "spostare le montagne" e rendere reale l'inimmaginabile.
Una lezione che è oggi di straordinaria attualità, - scrive Magister - in tempi nei quali la comunione eucaristica decade spesso a banale metafora di solidarietà e condivisione tutte terrene”.

 

Il testo soprattutto di monsignor Pollio ha un valore documentale, racconta in presa diretta le terribili sevizie cui erano sottoposti i detenuti:“il tonfo dei torturati, che venivano sollevati alla trave del carcere legati per i pollici e poi lasciati cadere, era ogni volta una ferita al mio animo[...]”. L'arresto, le calunnie subite, di essere un “imperialista”, le intere giornate di snervanti interrogatori.“I processi, sotto il regime comunista, sono terribilmente snervanti. In essi la giustizia è un assurdo: vengono inventate accuse inverosimili e inconsistenti, lette le più ripugnanti deposizione; si presentano numerosi falsi testimoni [...]”. La vita in carcere, in mezzo ai delinquenti,“in cella costretti a stare seduti a terra tutto il giorno dalle 5 del mattino alle 10 di sera, senza poterci alzare e muovere; la terra umida, per cui in poco tempo, il mio corpo si coprì di piaghe”. E poi le catene, il peggiore supplizio. Quelli che portavano le catene ai piedi e i ferri alle mani legate dietro la schiena, mangiavano come i cani. Dovevano spingere quel tozzo di pane contro il muro, per avere un appoggio e addentarlo.

 

La Via Crucis che doveva subire quando lo portavano al tribunale. Dovevi fare tre chilometri con le catene alle caviglie – raccconta monsignor Pollio - e spesso passavi in mezzo a delle folle obbligate a gridare col pugno chiuso e inveire contro i detenuti imperialisti.

Il vescovo nel raccontare la sua prigionia, ci dà anche istruzioni sulle aberrazioni dell'ideologia comunista dove le generazioni vengono educate alla scuola dell'odio, a questa scuola deve formarsi il bolscevico del domani.“Dopo diciannove secoli, da Mosca è partito un altro comando, in antitesi con quello di Gesù: 'Abbasso l'amore del prossimo. Abbiamo bisogno di odio. L'odio è santo. “I comunisti hanno scelto l'odio - ribadisce monsignor Pollio - perché il comunismo non è civiltà ma barbarie, la più grande barbarie della storia”.

 

Per fare questo bisognava indottrinare i giovani con tutti mezzi. Fino a raggiungere quel terribile risultato come di quel figlio di un pastore protestante, il giovane Luo Chen Han che imbevuto dell'indottrinamento ricevuto a scuola, fece arrestare il padre e chiese al governo di metterlo a morte, assistendo poi alla barbara esecuzione di colui che gli aveva dato la vita.

 

 

 

 

 

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Articolo pubblicato il 14/07/2020