Il “Polo Nord” a Torino

Considerazioni di Sergio Donna

Sottopongo molto volentieri ai Lettori di “Civico20News” queste considerazioni dell’amico Sergio Donna, dedicate alla nuova area verde di piazza Marmolada, che ricorda l’antica denominazione di “Polo Nord” data a questa zona di Torino (m.j.).

 

Se per caso (non si può mai dire) state attraversando la rotonda che dirama e rallenta l’intenso traffico di veicoli pubblici e privati che transita sui Corsi Rosselli, Lione e Racconigi con una bussola in mano, ebbene, è probabile che in quel preciso punto l’ago si metta a vibrare freneticamente e si posizioni insistentemente in direzione Nord.

Semplicemente perché quello è il Polo Nord di Torino.

Già, perché proprio lì intorno, a inizio Novecento, si estendeva un sub-quartiere di fabbriche e di sporadiche casette e cascinali, che i Sanpaolini dell’epoca (a quei tempi, quella zona - ancor poco urbanizzata - faceva parte, a tutti gli effetti, di Borgo San Paolo) avevano chiamato “Polo Nord”.

Perché? Ma perché quel tratto di Torino (al confine sud di Borgo San Paolo, ma che la gente ancora non attribuiva né a Santa Rita né, tanto meno, alla Crocetta) era sferzato dai gagliardi venti della Val di Susa.

Nelle giornate d’inverno sibilavano gelidi, a folate, sui tetti a capriate delle fabbriche. Quei venti, non protetti dalle barriere di costruzioni molto alte, s’incanalavano tra i muri di cinta degli stabilimenti, facendo rabbrividire, soprattutto nelle prime ore dell’alba, gli operai che - a piedi o in bicicletta - raggiungevano il posto di lavoro.

Forse non era del tutto un caso se proprio al “Polo Nord” veniva ammonticchiata la neve spalata nei vari quartieri di Torino, prima di essere utilizzata nelle ghiacciaie della città.

Ora, una parte almeno di quest’area che si affaccia sulla rotonda (quella adiacente al Dopo Lavoro Ferroviario) si è trasformata in un arioso spazio verde, ed è nuovamente fruibile dai residenti, e lì è possibile praticare gratuitamente e all’aria aperta (venti… permettendo!) attività ginnica e ricreativa, fruendo di molte di quelle sofisticate attrezzature che solitamente si trovano solo nelle palestre e nei centri di benessere a pagamento.

Su un muriccio in mattoni, è stata affissa una lastra orizzontale in ferro con la scritta “MATERFERRO”: quell’incisione, da un lato, è un invito a non dimenticare il ruolo determinante nel secolo scorso giocato da decine di fabbriche ora scomparse che avevano sede proprio in questa zona (come la Itala, la Diatto Ferroviaria - poi Materferro, la Spa, la Fergat, e tante altre ancora) nel processo d’industrializzazione del Paese.

Dall’altro, quella scritta è lì a ricordare e a onorare le decine di migliaia di lavoratori che in quelle fabbriche e in quelle officine si sono alternati, generazione dopo generazione, lavorando sodo attorno alle macchine, alle presse, ai torni, alle catene di montaggio, per donare un futuro migliore ai propri figli, e che negli anni duri della Prima e della Seconda Guerra Mondiale, spesso hanno donato la vita nella difesa della patria o nella lotta per la libertà.

(Sergio Donna - Uff. Stampa “Monginevro Cultura”)

Foto di Sergio Donna

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Articolo pubblicato il 26/08/2015