La “Torino noir” vista e narrata da Milo Julini

Storie del vicolo Tre Quartini

In un precedente articolo di questa mia rubrica, pubblicato su “Civico20News” dell’11 marzo 2013, ho parlato del ritrovamento di due scheletri nel vicolo Tre Quartini, avvenuto nel 1932 in concomitanza con i lavori di demolizione di parte dell’isolato San Federico per la costruzione del primo tratto della nuova via Roma (1931-1933).

L’antico isolato di San Federico, sul lato prospiciente via Roma e piazza San Carlo, aveva qualche eleganza: in via Santa Teresa vi era l’ingresso della galleria Natta poi Geisser, versione in miniatura della attuale galleria San Federico con un percorso a “elle” per cui si entrava da via Santa Teresa e si voltava a destra per uscire in via Roma.

Al posto del tronco nord dell’attuale galleria che sbuca in via Bertola, la galleria Natta si apriva nel vicolo dei Tre Quartini, in corrispondenza della via Viotti. Con la costruzione della galleria San Federico in sostituzione della galleria Natta, la pianta è diventata a “T” e non più a “L”: è stato infatti realizzato un braccio che sostituisce il vicolo dei Tre Quartini per aprirsi su via Bertola.

Il ritrovamento di due scheletri sepolti potrebbe far sorgere spontanea la domanda: «Chissà cosa è successo in questo tenebroso vicolo?».

Con la consultazione dell’archivio storico del quotidiano torinese “La Stampa” è stata possibile una rassegna degli articoli riguardanti il vicolo Tre Quartini, che appare come un vicolo “povero ma onesto”: emergono, infatti, più che storie di malavita, storie di miseria.

Il primo ritaglio di giornale in ordine cronologico riguarda un caso di incendio.

“La Stampa”, 20 aprile 1874. – Un incendio domato. – Ci scrivono: «Nella notte dal sabato alla domenica, nel vicolo dei Tre Quartini si appiccò il fuoco nella bottega di un bigonciaio (sëbrè), fuoco che, per le materie combustibili colà accumulate, avrebbe potuto avere terribili conseguenze. Per fortuna un signore che capitò a passar di là verso le due dopo mezzanotte, viste le fiamme divampare, diede l’allarme, svegliò portinaio e inquilini, e tutti accorsi sul luogo, coll’aiuto delle Guardie di P. S. che furono sollecite a venire, riuscirono a spegnere l’incendio.

Fu più la paura che il danno; ma questo è un ammonimento per l’avvenire, perché la causa del fuoco si fu che il bigonciaio mise sopra un braciere ardente ad essiccare delle assicelle per doghe, e poi se andò a dormire: imprudenza che gli inquilini della casa temono troppo abbia a rinnovarsi, onde pregano V. S. [Vostra Signoria] che facendo cenno di questo fatto e dando lode a chi zelantemente si adoperò ad estinguere, faccia sentire al proprietario ed al bottegaio che si prendano misure onde tutti restino rassicurati che simil pericolo più non abbia a rinnovarsi». 

Questa lettera è indicativa dell’avidità che induce certi proprietari ad affittare i loro locali anche ad artigiani con attività pericolose, senza preoccuparsi della sicurezza delle condizioni di lavoro e dell’incolumità dei vicini di casa. Avidità che non trova contrasto da parte delle autorità, perché la proprietà privata è percepita, e tutelata, in modo esasperato, anche quando può mettere a rischio la collettività.

Suona quasi commovente oggi l’invito rivolto al direttore del giornale perché responsabilizzi il proprietario e l’artigiano in modo che siano presi provvedimenti tali da rassicurare i coinquilini!

Nel vicolo abitano anche persone discretamente agiate, tanto da essere vittima di furti, e si trova una “cantina”, cioè una “piòla”, con qualche cliente scroccone.

“La Stampa”, 25 febbraio 1876. – Ieri, verso il pomeriggio, ignoti ladri s’introducevano nell’abitazione di R. Francesco, sita nel vicolo dei Tre Quartini e gli involavano oggetti di vestiario per un centinaio di lire.

“La Stampa”, 4 marzo 1876. – Dalle Guardie di P. S. fu ieri arrestato tale B. Giuseppe, perché dopo avere mangiato e bevuto in una cantina in via Santa Chiara, non intendeva pagare lo scotto, cosa d’altronde che non meravigliò gli agenti della forza pubblica i quali avevano appunto l’ordine di arrestare il B. per aver giocato poco prima egual tiro ad un cantiniere del vicolo dei Tre Quartini.

Altro che mangiare a ufo! Quella è malattia bella e buona di scroccare il prossimo.

Storie di miseria, si diceva in precedenza. In effetti, due notizie sono indicative della difficile condizione femminile in questo periodo storico.

“La Stampa”, 17 aprile 1876. – Ieri, 16, alle 71/2 del mattino ed in quella casa stessa di via Roma n. 16 in cui ieri l’altro suicidavasi il negoziante C. G. precipitavasi dall’8° piano nel vicolo dei Tre Quartini una donna di 36 anni, moglie ad un cuoco e madre di 3 bambini.

Raccolta da una guardia municipale, la poveretta fu sollecitamente  trasportata, senza speranza di salvezza, all’ospedale S. Giovanni ove poco dopo morì. Le atroci sofferenze di lunga malattia avevano prodotti nell’infelice donna uno stato di debolezza mentale che fu causa del disperato proposito che abbracciò.

“La Stampa”, 21 dicembre 1877. – Che cuore di madri! – È cosa che stringe veramente il cuore. Ieri il sig. D.G. residente nel vicolo dei Tre Quartini denunciò di avere trovato nel cesso del cortile della Galleria Natta il cadavere di un neonato di sesso femminile, ivi forse gettato od abbandonato dai suoi parenti.

Si conclude così questa prima rassegna di “ritagli di giornale”, compresi nel periodo del regno di Vittorio Emanuele II (1861-1878).

Nei prossimi articoli prenderemo in esame le “Storie del vicolo Tre Quartini” nei periodi successivi.

È stata molto utile per questo articolo la consultazione del Gruppo “Torino sparita su Facebook”, da cui provengono alcune figure (m.j.)

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Articolo pubblicato il 05/01/2016