Albania, terra di contrasti

Un lungo viaggio nella storia del ‘900

Il tempo delle vacanze,  stimola interessi nuovi e desideri di conoscere e magari visitare, Paesi molti vicini i nostri, ma sconosciuti ai più.

E’ il caso dell’Albania. Infatti poco si sa ancora in Italia del passato di questo piccolo Paese oltre l'Adriatico - meno di 3 milioni di abitanti per 28 mila chilometri quadrati: grande poco più della Lombardia, che però è popolata dal triplo delle persone.

Venne occupato dall’Italia durante il fascismo e  25 anni fa, portò in Puglia con  barconi  quasi 50 mila albanesi  tra Bari e Brindisi tra il marzo e l'agosto del 1991 in fuga dall’ultimo regime stalinista vicino di casa indisturbato, che, saltata l'Unione sovietica, sarebbe collassato da lì a poco.
Dopo venne l'anarchia del 1997, l'equivalente albanese dei crac degli oligarchi russi: solo un caos ancora più criminale, drammatico, al limite della guerra civile. A seguire altri esodi di massa, incluso il naufragio nel canale di Otranto della Kater i Rades, del quale quasi nessuno in Italia si ricorda.
I pochi che serbano i ricordi, non hanno dimenticato Valona e Durazzo: due nomi che sono ancora un marchio, causa i porti dei barconi arrugginiti e dei traffici delle armi e della droga dai Balcani.


Qui, dopo 50 anni di collettivismo forzato, a Tirana spicca una piazza con le architetture realsocialiste tra le meglio conservate dei Paesi dell'Est: un paradosso.
È il luogo principale da vedere nella capitale. Le statue di Lenin e Hoxha furono abbattute dal popolo nel 1992 e al loro posto c'è oggi l'eroe nazionale a cavallo Giorgio Castriota Skanderbeg, crociato della cristianità contro gli ottomani.
Ma nel grande prato centrale, d'estate, si fanno le proiezioni di Good Bye Lenin!: un clima da Ostalgie, almeno per gli stranieri.
Il dittatore Enver Hoxha ha guidato la Repubblica popolare d'Albania dalle lotte partigiane del 1944 fino alla morte nel 1985, che aprì al governo di un blando successore e alla dissoluzione.
Autarchia, ateismo di Stato, economia del baratto: raccontano i giovani albanesi che i loro genitori vivevano sigillati, uscire dal Paese era impossibile dopo la rotta di collisione dell'Albania anche con la Jugoslavia, la Russia e la Cina comuniste.

Impalato sullo stalinismo, Hoxha rifiutava le riforme di Tito e Krushev e temeva a ogni ora l'invasione.
Quando le sirene risuonavano, la popolazione correva per le esercitazioni: un perenne stato di allerta in un regime segnato dalla povertà, dall'arretratezza e dalla repressione.

«Ancora 20 anni fa», ricorda un'anziana originaria di Valona, «la costa era vuota: “solo” il mare e le fortificazioni».
Hoxha aveva costruito anche un bunker antiatomico vicino a Tirana.

Il dittatore era un padre-padrone rigido e frugale in una terra segnata dai grandi traffici balcanici. E’ un'altra grande contraddizione dell'Albania: Paese dai mari e dai fiumi trasparenti, di aspre montagne e di montanari sul mare che conservano gelosi usanze e antichi dialetti.

A Tirana è arrivato il mondo, ma in giro sui bus si notano pochissime persone incollate a tablet e iPhone.
Il poliedrico premier e pittore Edi Rama, ex sindaco, ha rilanciato la capitale a pennellate di colore e creatività e ora vuole far entrare il Paese delle aquile nell'Unione europea.
Ma qui i rapporti tra la gente sono ancora plasmati dagli imperativi del codice orale kanun: che tra le altre cose dice che l'ospite è un Dio da onorare, ma anche che i torti fatti vanno ripagati, e senza sconti.

Identità complessa, poi, l'albanesità: il 70% della popolazione è musulmano, ma non pratica l'islam e ha scelto come massimo patriota il cristiano Skanderbeg; gli altri si dicono ortodossi (20%), cattolici (10%) e crescono anche i testimoni di Geova, insieme alle moschee degli imam radicali spuntate come funghi.

Per strada, più pulizia e ordine pubblico che in Italia: pochissima microcriminalità e polizia vigile, case aperte nelle campagne.
Ma la capitale dove vive la maggioranza della popolazione è ancora il motore di business leciti e illeciti, regolati dal passaparola e da un tasso alto di corruzione.
A 25 anni dalla caduta del regime manca gran parte delle infrastrutture, diversi appalti sono stati infiltrati da mafie e bloccati. Il riciclaggio resta una piaga dell'economia, come le piccole e grandi tangenti degli apparati statali.
Dal 2013 Rama - premio dell'Onu per le politiche sociali - ha chiuso parecchi cantieri, distrutto ecomostri sulle coste e cerca di stroncare speculazioni e malaffari: un lavoro lungo. In tanti lo stimano.
Altri lo attaccano per il liberismo. Il motto per attirare gli investitori esteri è ''Venite qua, tasse al minimo e zero sindacati''».
Ma il premier deve fare i conti anche con una popolazione che, dal 1992, rigettato lo statalismo non ha mai fatto ripartire le ferrovie e contesta anche il progetto di una grossa centrale pubblica di autobus.

Diverse autostrade sono in costruzione, si viaggia su quattro corsie solo tra Tirana, Durazzo e Valona. Dal Sud si risale verso il Nord dai valichi di strade montane nell'entroterra punteggiato di autogrill. Ma lo stallo sarebbe un'immagine sfocata dell'Albania.
Dal 2014 il Paese è un candidato ammesso a entrare nell'Ue: l'economia cresce a un ritmo del +3% di Pil, in 10 anni il tasso di povertà si è dimezzato e gli stipendi medi - pur ancora bassi - sono quasi raddoppiati da meno di 200 a quasi 400 euro al mese.
L'istruzione tra i giovani è molto alta, il loro attivismo e la volontà di distinguersi sono palpabili e l'attesa per i finanziamenti europei è oggi la danza della pioggia del Paese delle aquile.
Però con le politiche di Bruxelles il rischio è che, nell'Ue, l'Albania diventi una seconda Romania per la manodopera da sfruttare.


Nelle periferie e nell'entroterra resistono sacche di povertà.
La sanità, in balia come l'immobiliare a privati albanesi e stranieri, è interamente da ricostruire.
I responsabili del percorso guidato Visioni, Albania 2030 alla Galleria nazionale d'Arte di Tirana, ci raccontano dei piani di sviluppo programmati dal governo: «Per secoli siamo stati controllati da Stati stranieri, poi abbiamo avuto il regime comunista e dopo Hoxha gli albanesi hanno confuso l'anarchia con la democrazia. Adesso dobbiamo educare la gente a organizzare questa libertà».

Nella progettazione urbanistica ci sono il potenziamento delle connessioni dei porti con il bacino mediterraneo, la costruzione della Trans Adriatic Pipeline (Tap) dal Mar Caspio alla Puglia, la realizzazione di infrastrutture e il lancio di un turismo sostenibile. L'esposizione di cartine, programmi e video nel museo è un viaggio nella storia e una proiezione nel futuro dell'Albania.
Stretta tra il palazzo del governo e la Piramide diroccata di Hoxha, la Galleria nazionale di Tirana è il centro di arte contemporanea coccolato da Rama: un faro d'avanguardia nella capitale.
Di notte, l'ingresso è illuminato dalla grande Nuvola di Sou Fujimoto. Dentro, il pianterreno ospita una mostra dedicata a Cervantes e una temporanea sulla contestazione al regime comunista ungherese con opere dalla collezione del Ludwig Museum di Budapest..

Gli autori sono gli artisti socialisti magiari del dissenso interno: il percorso del premier albanese, artista e politico intuitivo ora un po' in declino, figlio di comunisti e leader giovanile della contestazione, oggi iscritto e leader del Partito socialista albanese, erede del Partito del Lavoro di Hoxha.

Al primo piano del museo, sotto Visioni 2030 sfila una lunga carrellata di statue e quadri del socialismo reale albanese: la proclamazione d'indipendenza, poi l'esaltazione della dittatura del proletariato, i ritratti delle donne operaie albanesi che tanto contribuiscono e hanno contribuito a far sopravvivere il Paese.
Molti contrasti, tanti schizzi e tutti insieme fanno l'Albania

 

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Articolo pubblicato il 28/08/2016