Identità e informazione

Regalare ai colossi della rete il nostro stile di vita equivale anche a ridurre i posti di lavoro

E’ ormai cosa risaputa che ogni volta in cui Facebook o Google dispongono delle nostre informazioni (identità, spostamenti, acquisti, …) sono in grado di vendere tali informazioni a qualsiasi azienda che in questo modo sarà pronta a offrirci i propri prodotti o servizi.

Qualche giorno fa, su La Repubblica, il noto sociologo Morozov, esperto di nuovi media, ha proposto una tesi secondo cui ci sarebbe un altro motivo ben più grave su cui riflettere a livello di privacy.

Molti di noi avranno certamente notato come negli ultimi anni le piattaforme digitali siano spesso in grado di condurci su link presi su misura per noi, attraverso algoritmi di intelligenza artificiale in grado di prevedere cosa vogliamo senza dover più scrivere per esteso sul motore di ricerca quanto desiderato.

Sovente, infatti, è sufficiente inserire l’inizio di una frase sul motore di ricerca per avere subito disponibili i link più utili per ciascuno di noi.
Morozov fa notare come tutto ciò faccia sì che le piattaforme tecnologiche guadagnino molto più del solo denaro ricavato dalla pubblicità, e quindi ottenuto dalla aziende che sfruttano le loro (nostre) informazioni di consumatori. Le aziende che stano dietro ai social network e ai motori di ricerca vengono pagate ben due volte: una, appunto, dagli inserzionisti e una da noi utenti ogni volta in cui ci lasciamo dietro una scia di informazioni personali che consentiranno ai loro algoritmi di diventare più intelligenti così da poter fare a meno di personale, tagliare le spese, imponendo il pagamento di una tariffa per consentire l'accesso a una risorsa importantissima: l'intelligenza artificiale in tempo reale a cui solo una ristretta oligarchia di aziende (Facebook e Google tanto per cambiare) può accedere.

Ecco che il futuro di call center, customer service, uffici informazioni, consulenti e quant’altro rischia di vedersi sempre più minacciato da analoghi algoritmi di intelligenza artificiale in grado, attraverso la raccolta dei famosi “big data”, di dirci e darci ciò che vogliamo senza più l’ausilio degli essere umani.

Uber, la società di servizi di trasporto low cost, sta immettendo sul mercato automobili che si guidano da sole; il Washington Post, di proprietà di Jeff Bezos, capo diAmazon, ha usato l'intelligenza artificiale per generare articoli, facendo così paventare la sempre meno necessità di avere giornalisti; per non parlare di Google e Facebook che  dispongono oramai di assistenti virtuali che sfruttano l'intelligenza artificiale per scoprire il nostro tempo libero sulle agende, facendoci fare acquisti e così via.

Tutto questo ha un’ulteriore conseguenza: quella di ritrovarci ben presto (e sta già accadendo) con la politica completamente alla mercé di due o tre multinazionali che avranno la sovranità tecnologica  e la gestione della privacy con potenzialità di gran lunga superiori a quelle dei governi.

L’idea che rischia di diffondersi è quella di un nuovo neo-liberismo in cui ancora una volta si penserà che la libertà individuale vada cercata e soddisfatta all’interno del mercato, così come è avvenuto negli ultimi trenta-quarant’anni, ma con l’aggravante che questa volta in quel mercato non ci sarà competizione visto lo strapotere di pochi noti (Apple, Facebook, Google).

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Articolo pubblicato il 21/09/2016