Racconto: " La stanza ottagonale"
La Reggia di Venaria Reale

A Venaria Reale succedevano tante cose

La stanza ottagonale

Ci fu un breve periodo della mia vita in cui abitai a Venaria Reale, la città della Reggia dei Savoia magnificamente restaurata in occasione, e con i quattrini, dell' Olimpiade invernale del 2006 a Torino.
Qui, a Venaria, trascorsi i primi quattro anni della mia vita, anche se sono nato proprio a Torino città, in corso Matteotti.
Mio padre lavorava in una grande azienda a Venaria Reale e qui decise di trasferirsi per comodità, allora pochissimi potevano permettersi un' auto.


Abitavamo in una villetta con giardino vicino alla Mandria, un grande parco di 3600 ettari e cintato da 35 Km di mura. La tenuta sorse nella seconda metà del XVIII secolo quale centro per l'allevamento e la riproduzione di cavalli di razza destinati ai sovrani sabaudi che, con la corte al seguito, si dedicavano alla pratica venatoria nel territorio della Venaria. Molti altri castelli dei Savoia con tenuta annessa sorgevano nei pressi del capoluogo piemontese: Mirafiori ( non più esistente nel luogo dove oggi sorge uno storico stabilimento della FIAT ), Stupinigi, Rivoli, Racconigi ( che sorge in provincia di Cuneo al limite della provincia di Torino), ed altri. 


Però Venaria Reale, dal nome evocativo in quanto Venaria deriva dal latino venare = cacciare, è senza dubbio il più esteso possedimento reale e dal castello ampio come una vera e propria reggia. Ai primi dell' 800 la Reggia fu occupata da soldati francesi di Napoleone, usata come caserma e stalla, andando completamente in rovina. 
Per quanto piccino, ho ancora ricordi nitidi di quando mio fratello Gianni, attraverso un' apertura nel muro della Mandria, mi portava in giro per i boschi silenziosi di quei posti abbandonati, per qualche avventura di ragazzini a fare chissà quali scoperte. Là, dentro la tenuta che oggi ospita campi da golf, maneggi e residence di lusso, con l'unico suono prodotto dagli uccelli numerosissimi che trovavano là un'oasi protetta ante litteram, ci potevamo avvicinare alla Reggia, senza peraltro entrarvi in quanto aveva porte e portoni sbarrati da assi di legno. Ricordo solamente, sbirciando tra le assi sconnesse, grandi finestroni senza vetri che davano su camere con volte altissime, ed un senso spettrale dell'insieme del castello, che mi faceva venir voglia di tornare nell' epoca presente ed a casa, per me cose molto più confortevoli di quegli imponenti e tetri ruderi. 


Ai tempi Venaria era piena di veneti venuti a lavorare qui nelle fabbriche; ricordo benissimo la loro inflessione così diversa da quella piemontese, nonostante la mia età. Con mio disgusto molti ragazzini andavano a cacciare i verdoni, una specie di grossa lucertola, con archi e frecce fatti con lo stesso materiale, i raggi delle biciclette.
Molti ragazzini si costruivano una specie di carrettino con le ruotine dei cuscinetti a sfera per girare per le strade. Io venivo tenuto a bada dal caporione di una banda di questi ragazzacci, che era mio fratello Gianni, di 8 anni più anziano di me. I suoi coetanei mi appiopparono il soprannome di “Gallina matta “, perchè ogni tanto le loro storie, le loro parolacce e le loro bravate mi facevano scoppiare dalle risate. Questi ragazzi venivano lasciati liberi di girare per tutta la cittadina, senza alcun controllo da parte dei genitori. Molti di essi andavano in gruppo a fare il bagno nella Ceronda, il torrente che scorre di fianco a Venaria, e qualcuno ci era pure morto annegato dentro.

Nel nostro piccolo giardino si aggirava Gina, la gatta di casa, a cui ero molto affezionato.
Quando si dice la preveggenza delle mamme: un giorno giocavo vicino al cancelletto quando mi si avvicinò un uomo vestito in modo strano, che mi chiese se volevo andare con lui. Io gli chiusi subito il cancello in faccia, solo il giorno prima mia madre mi aveva raccontato di bambini rapiti dagli zingari, e la cosa mi aveva impressionato a tal punto che non ci pensai due volte a fare quel gesto. Se non lo avessi fatto, oggi non sarei qui a raccontare questi fatti, ma molto probabilmente starei in qualche campo nomadi di periferia in una città sempre diversa.


E' sorprendente come i ricordi tornino a galla per quel fenomeno chiamato sinestesia. Un suono, un colore, un profumo evocano associazioni con fatti che sono da qualche parte nel nostro subconscio e che non aspettano altro che essere risvegliati. Passando accanto ad un prato con odori di ciclamino e tiglio, non posso fare a meno di ricordare un tratto di strada che facevo per andare da un mio amico, percorrendo il quale sentivo quegli stessi effluvi a me cari. Lo stesso quando sono in un prato fiorito, che mi fa tornare in mente il periodo passato a Venaria.


Vicino all' entrata della Reggia abitavano i miei zii.
Un' abitazione molto grande e molto particolare, al primo piano – o piano nobile - di un palazzo settecentesco che sorge in piazza della Repubblica all' angolo con via Andrea Mensa, a circa 250 metri dall' entrata principale della Reggia.
Entrando, ci si trovava immediatamente in un grande salone di forma ottagonale, che mia cugina mi disse essere solo questo vano di 80 metri quadri. Tanto grande che, da piccola, si era addormentata avvolta in una coperta sotto una finestra ed i suoi genitori avevano stentato a trovarla. Quell' appartamento l' avevo visto da piccolo, e ricordavo solo una grande stanza di forma inusuale, ma da adulta la cugina mi confermò però che effettivamente l' abitazione aveva le caratteristiche descritte, compresa la dimensione della stanza ottagonale.
Ogni lato dell' ottagono aveva una porta che conduceva in sette stanzoni.
Il marito di una mia cugina, che era stato anche assessore al comune di Venaria, scrisse un libro intitolato “ Storia di Venaria reale “. Mi disse che quel luogo era una specie di dépendance della Reggia, situata in prossimità della sua entrata principale.
Qui si davano convegno personaggi altolocati della corte dei Savoia, che pranzavano e festeggiavano nella stanza ottagonale e poi si ritiravano ognuno in una delle stanze da letto adiacenti con la dama del momento, in gran segreto e fuori da occhi indiscreti. E' molto probabile che anche qualche regnante vi si recasse per le sue scappatelle; d' altronde nessuno se ne sarebbe meravigliato visto che il palazzo che includeva il grande appartamento era stato originariamente di proprietà della corona.


Leggendo di quei tempi lontani, e sino ad oggi in cui casa Savoia è solo l'ombra degli antichi fasti, quell' abitazione così particolare l' associo al carattere riservato dei piemontesi, che non ha mai lasciato il posto all'ostentazione.


Claudio De Maria- La stanza ottagonale- 20 / 02 / 2014

 

 

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Articolo pubblicato il 24/02/2017