Primarie PD. La volata di Renzi.

Circa due milioni di elettori e oltre il 70% dei consensi.

Non c’è stata la lotta all’ultimo voto e, sin dall’inizio dello spoglio è emersa la distanza abissale tra Matteo Renzi ed i suoi competitori.

Renzi non si è mi discostato dal 70% e il risultato quasi ufficiale, diffuso solamente verso le ore 13,   conferma  la minor affluenza dei votanti rispetto al 2013, con Renzi che supera il 70% dei consensi, seguito da  Andrea Orlando che si attesta al 19,50% e da Michele Emiliano che chiude in coda con il 10%

Molte sono le considerazioni che si possono trarre dalle primarie, anche se il risultato plebiscitario del voto, lascia poco spazio alle querelle ad iniziare dalle possibili pastette insite con il sistema fai da te che non ha nulla da compararsi con quello rigidamente disciplinato negli stati Uniti che precede la nomination del candidato dei due maggiori partiti per la conquista della Casa Bianca.

Così alcuni esponenti del centro destra, tra i quali Salvini, Fitto e altri che vorrebbero acquisire l’istituto già adottato dal PD, in presenza di numeri maggiormente risicati, dovrebbe provare  riflettere e non poco.

L’elemento sconcertante, tenuto conto delle ascendenze del PD, da un lato la “gloriosa macchina” del Partito Comunista e dall’altro la capillare organizzazione ereditata della Democrazia Cristiana, è la carenza riscontrata in questo contesto di “riserve dello Stato” tra i candidati.

Di Renzi conosciamo ormai limiti e difetti, di carattere, concettuali e d’azione. Ma è innegabile, pur non essendo suoi paladini, che in questo confronto risulta lampante l’abisso di personalità e di proposte seriamente spendibili, tra lui e gli altri due.

 Ma se, almeno in Emiliano si può individuare un amministratore di lungo corso, amato dai suoi elettori, anche se in questa contrapposizione si è lascato un po’ tirare la mano dai fuoriusciti dl Pd e da una vena levantina, insita con la sua personalità, poco c’è da salvare in Andrea Orlando.

Un esponente delle nuove generazioni di ministri che, senza aver coltivato studi ed esperienze maturate sul campo si è trovato da subito a ricoprire poltrone ministeriali, senza aver recepito quelle visione comparata della situazione economica del Paese con il quadro internazionale che, molti al suo posto avevano ed hanno  appreso con profitto.

Le uniche espressioni raccattate nelle sue solitarie enunciazioni ripetono come in disco rotto la “necessità di portare tematiche di “sinistra”.

Ma, entrando nel merito degli scarni argomenti estratti dal suo programma, le  elucubrazioni vanno nel senso opposto ed invece di  cercare di colmare gli squilibri nel Paese ed invertire la crisi occupazionale, finirebbero con l’accentuarla.

In Italia non abbiamo ancora varato la legge elettorale e, potrebbe essere verosimile, se si confermasse al tendenza accentuata al proporzionale, la prospettiva di un confronto inevitabile tra le forze presenti in Parlamento dopo la competizione elettorale, per poter individuare una maggioranza certa e coesa, nell’impostare un programma credibile.

 Da molti analisti si evidenzia come gli steccati destra – sinistra siamo ormai reperti ottocenteschi. In un Paese ove la miopia dei politici nominati e l’avanzare di crisi e globalizzazione incontrollata, ci ha portato ai margini della crescita, il compito precipuo di un governante sarà quello di individuare difficoltà e limiti per porre rimedio, senza guardare altri protagonisti della scena politica, con la puzza sotto il naso.

Per fare qualche esempio, la sconcezza di una visione statalista che ha generato il mostro Alitalia, ove politici ignoranti e sindacati ingordi hanno bruciato ingenti somme e creato rendite di posizione inaccettabili, dovrebbe essere per sempre bandita.

Invece il prode Orlando, seguito dal fido Emiliano, pone in via pregiudiziale  uno steccato invalicabile verso intese con il centro destra o, peggio ancora con Berlusconi, nel segno del più becero statalismo, a dispetto del consolidamento dell’economia di mercato e della possibile inversione di tendenza dell’occupazione.

L’altra demonizzazione di Orlando riguarda la necessità imperante di calare la mannaia nei confronti di detentori di redditi e capitali che potenzialmente potrebbero investire nel nostro Paese, seppur  già ampiamente tassati con la progressività delle imposte, o contribuire all’espansione dei consumi che in ultima analisi contribuisce all’incremento della produzione e di conseguenza alla stabilizzazione occupazionale.

Nell’ascoltare queste tesi ci si chiede se, in pratica chi le pronuncia e sostiene ha a cuore il destino di giovani, disoccupati o sottooccupati, o desidera unicamente  ammirare il proprio ombelico e pronunciare quei concetti cari ai gruppettari del’68, senza il confronto con la realtà.

Il risvolto drammatico è che non parliamo di un pur rispettabile partito di nicchia, ma del PD, il partito che dovrebbe svolgere un ruolo riformista e che sarà comunque per consistenza numerica, destinato a orientare le scelte economiche e politiche del Paese.

Il risultato delle primarie, ha confinato i due minoritari nelle riserva indiana ove potranno continuare a fantasticare su Jus soli, accoglienza indiscriminata di clandestini e nuovi modelli di politica fiscale ed intervento dello Stato in Economa, tali da far fuggire coloro che oggi investono e quanti avrebbero potuto far convergere in Italia nuovi capitali.

Ma per non disegnare quadri utopistici, sarebbe il caso, a risultati consolidati, che Matteo Renzi, dimenticando gli ultimi mesi vissuti da premier con la suicida scelta referendaria, parlasse chiaro al Paese ed all’Europa, soprattutto nei prossimi giorni, dopo l’esito delle elezioni francesi.

Non possiamo confinare le giovani generazioni nella desolazione del sottosviluppo o condannarli alla fuga all’estero. Dobbiamo individuare, seppur con notevole ritardo rispetto ad altri Paesi,  meccanismi di sviluppo e non penalizzanti per aliquote di cittadini, solo per dire “qualcosa di sinistra”.

Si vari una legge elettorale chiara e non truffaldina, si delineino linee di politica economica basate su scelte coerenti e verificabili,  abbandonando i postulati.

Si contribuisca a rimettere l’Europa su programmi in linea con la sua vocazione originaria, nelle ricorrenza del 60 anniversario.

Renzi dovrà abbandonare i giochini tristemente noti e spendere il successo ottenuto nell’esclusivo interesse del Paese.  Lanci una sfida chiara, si confronti con il centro destra di oggi e con i nuovi protagonisti che si potranno presentare dopo il varo della legge elettorale,  in un contesto ove dovrebbero prevalere uomini, risorse  che invece di pavoneggiarsi con formulette od ostracismi, sappiano individuare priorità  e soprattutto governare.

Questo si aspettano gli Italiani, non gli ostracismi del pugliese o le masturbazioni mentali di un enfant promosso ministro non certo per i suoi meriti e le sue non dimostrate capacità.

Ben altro ci vuole!.

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Articolo pubblicato il 01/05/2017