INPS. Le temibili panzane estive di Tito Boeri

Questo figuro si diletta a disegnare scenari campati in aria, con ripercussioni negative per i pensionati

Tito Boeri  il presidente dell’INPS, voluto da Matteo Renzi nel mese di dicembre 2014, si è divertito, sin dall’inizio, a lanciare progetti di riforma del Welfare, di competenza governativa e non di pertinenza del gestore di un Istituto previdenziale non in salute ottimale, come avrebbe invece dovuto, invocando invece,  provvedimenti sullo “stato sociale” .

Questo personaggio che, proviene da una famiglia della ricca borghesia lombarda e da giovane si era “dilettato” nel Movimento Studentesco insieme a Mario Capanna…, è attualmente anche direttore  della Fondazione Rodolfo De Benedetti, istituzione volta a promuovere la ricerca nel campo della riforma dei sistemi di welfare e dei mercati del lavoro in Europa.

La sua visione del “welfare” è apparsa molto chiara nella relazione annuale sull’INPS svolta alla Camera dei Deputati – Sala della Regina – il 4 luglio scorso.

Innanzitutto Boeri, prendendo spunto dal fatto che all’INPS sono state delegate dallo Stato una serie d’incombenze amministrative e finanziarie che con la previdenza c’entrano poco (disoccupazione, bonus bebè, controlli malattia, invalidità civili, immigrazione, certificazione degli iscritti ai sindacati, ed altro ancora) ha proposto che esso cambi denominazione e che la “P” della sigla debba in futuro significare “protezione” anziché “previdenza”.

Ed è tanto convinto di questa sua tesi che in tutta la relazione non ha trovato modo di parlare dei problemi pensionistici, che pure assillano tanti cittadini: l’età di pensionamento che potrebbe allungarsi per la cosiddetta “speranza di vita”; i mancati adeguamenti al costo della vita per le pensioni superiori ai minimi; l’innalzamento degli stessi minimi; l’imminente “anticipo pensionistico” detto “APE”, che imporrà oneri bancari ed assicurativi ancora non definiti ai richiedenti, ed altro ancora.

La sua tesi di fondo è che l’INPS debba trasformarsi in un Ente preposto al “welfare”, ossia ad intervenire per coprire i problemi della povertà, della disoccupazione, della natalità.

Non poteva mancare l’esaltazione dell’immigrazione che apporterebbe maggiori contributi all’Ente mediante il lavoro di questi nuovi soggetti (che la dottrina marxista classica qualificherebbe come una “forza lavoro di riserva e di sostituzione”: crumiri, insomma, perché disposti ad accettare condizioni lavorative e retribuzioni inferiori a quelle stabilite).

Fra l’altro, qui il presidente dell’INPS cade in palese contraddizione perché da un lato invita i giovani disoccupati italiani a specializzarsi maggiormente ed innovarsi continuamente se vogliono lavorare, e dall’altro fa ricorso al lavoro degli immigrati i quali, come lui stesso dice, qualificati e specializzati non lo sono affatto.

Inoltre, proprio per questi motivi (condizioni lavorative di bassa qualità e scarsi anni di contribuzione) essi dovranno aver bisogno d’interventi assistenziali, aggravando quindi le spese dell’INPS.

Certamente è lecito che l’INPS, anche per adempiere a compiti assegnatagli dai governi e dal Parlamento, si occupi di queste gravi questioni sociali.

Tuttavia, il pericolo insito nella tesi secondo cui l’Inps diventi solo il gestore del welfare abbandonando anche terminologicamente la previdenza, sta nel fatto che in tal modo anche la pensione sia considerata una forma di assistenza sociale, e quindi il governo potrebbe stabilirne l’importo solo in base a criteri meramente finanziari e di sussistenza socio-economica, a prescindere dai diritti acquisiti con i contributi.

In altri termini, l’applicazione – tante volte sbandierata – del sistema contributivo per attribuire l’importo della pensione solo in base ai versamenti contributivi effettuati, verrebbe annullata dinanzi alle esigenze sociali (e di bilancio) del welfare dell’INPS.

Si può anche rilevare come per anni si sia discusso sulla separazione tra assistenza e previdenza dell’Istituto, con lo scopo di mantenere integro l’equilibrio previdenziale tra contributi versati e pensioni percepite, ed adesso Boeri vuole risolvere questo dilemma trasformando l’Ente di cui è stato nominato presidente in un Ente meramente assistenziale che dovrà operare in base ad un’ideologia pauperista ed egualitaria.

Ed i pensionati o pensionandi che fine faranno?

O si accontentano di quello che passerà lo Stato tramite l’INPS, mutabile in continuazione a seconda delle disponibilità finanziarie (vedi Grecia) ovvero dovranno pensare a costituirsi una pensione autonoma: cosa molto auspicata dalle compagnie di assicurazione, ed è forse questa la vera finalità della tesi di Boeri.

Occorre quindi porre molta attenzione alle sue tesi per evitare che esse siano recepite in sede governativa, invece di lasciarle allo stato di mere elucubrazioni.

Fra l’altro, Boeri, nel ricordare che la sua carica presidenziale durerà ancora un paio di anni, ha evitato accuratamente di riferirsi alla modifica del sistema di governo dell’INPS.

Sono infatti giacenti molte proposte di legge, sulle quali qualche settimana fa vi è stata un’audizione al Parlamento, che intendono abolire il regime monocratico vigente all’INPS ormai da molti anni per sostituirlo con un consiglio di amministrazione mentre il consiglio d’indirizzo e vigilanza, composto dai rappresentanti dei contribuenti (associazioni imprenditoriali e sindacali), dovrebbe trasformarsi con nuovi poteri in un “consiglio di strategia” per definire l’applicazione degli importanti compiti affidati all’Istituto ed elaborare adeguate strategie per garantire il futuro dei cittadini, a cominciare dai lavoratori e delle aziende che versano regolarmente i contributi e si attendono alla scadenza la corresponsione di una pensione esattamente calcolata, e non attribuita in base alle esigenze annuali di bilancio.

Infine, va anche osservato che nella sua relazione Boeri ha chiesto l’istituzione di un salario minimo per legge che per lui è già implicito nell’importo dei “voucher”, oggi di 7,50 euro all’ora: questo è però un sistema per livellare – abbassandole – le retribuzioni sottraendole alla contrattazione.

Negli USA, dove da tempo vige questo sistema, i lavoratori americani si sono molto impoveriti e la vittoria di Trump deriva anche da questo.

Ci sembra quindi che quelle esposte la settimana scorsa, nella relazione annuale del presidente dell’INPS siano tesi che alterano il giusto equilibrio tra assistenza sociale, corpi intermedi e diritti acquisiti e che inducono ad alimentare la preoccupazione dei lavoratori sul loro futuro previdenziale e degli italiani sull’assetto sociale del Paese.

 

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Articolo pubblicato il 10/07/2017