Settembre in bianco e nero - Parte 1

Tre film consigliati per voi dal vecchio cinema di ieri, ancora oggi più vivo e vero del cinema di oggi

Per il periodo post vacanze, foriero del duro ritorno al lavoro mentre la tintarella scivola via dalle nostre spalle, abbiamo deciso di "addolcire" un pò la pillola con questa "operazione nostalgia".

Una serie di film antecedenti il Technicolor, il Dolby Surround o gli effetti speciali digitali; diretti da una serie di maestri (chiamarli solo "registi" è riduttivo) che hanno fatto la storia e le regole del cinema.

Emozioni d'annata che funzionano oggi come allora, immutate nel corso del tempo e immortalate in eterno sulla pellicola cinematografica, dove i divi di ieri restano magnifici per sempre senza invecchiare esattamente come le storie di cui fanno parte.

Musiche indimenticabili, inquadrature e sequenze che prese fotogramma per fotogramma sono singole opere d'arte, memoria di un cinema che fu e che oggi è surclassato da film usa e getta dal montaggio confuso e frenetico e pompato a livello ormonale di computer grafica.

Un eccesso visivo volto a riempire il vuoto pneumatico della trama e dei personaggi, troppo spesso ormai super uomini e super donne in costume usciti per direttissima dal fumetto di turno.

Fumetto mania che ha surclassato le storie ispirate a romanzi e penne di autore di un tempo, sostituendo la magia senza età della Settima Arte con le logiche frivole da marketing per teeneger.

Ma smettiamo ora di crogiolarci nell'amarezza di ricordare ciò che non è più, ripensando piuttosto alla miniera infinita di film che ci ha lasciato quel periodo d'oro del cinema in bianco e nero.

Andiamo quindi a consigliare tre film di diverso argomento e provenienza, ognuno dei quali scolpito nelle tavole della legge di chiunque ami il mondo e la storia del cinema.


SCIUSCIÀ (1946 - Vittorio De Sica)
Iniziamo ovviamente da un immenso regista italiano, padre di un film leggendario e amato dal mondo intero come "Ladri di biciclette".

Forse meno conosciuto dai più di oggi, ma altrettanto indimenticabile come mattone fondante del neorealismo italiano di quegli anni, è questo suo "Sciuscià" del 1946, antecedente il capolavoro di sopra ma altrettanto duro e cinico, seppur pieno di nostalgia e poesia per i suoi sfortunati personaggi.

Un film ambientato nel mondo della delinquenza minorile napoletana, poverissimi reietti che sopravvivono alla giornata da mendicanti, ladri, truffatori e all'occorrenza lustrascarpe (Sciuscià appunto, in dialetto).

Ma quando la vendita della refurtiva di un colpo finisce storta, per due di loro si spalancano le porte del carcere minorile.

Carcere che è un altro sotto-mondo ancora più povero di ciò cui erano abituati in precedenza, lazzaretto di una microcriminalità dove la riabilitazione e il perdono non esistono e anzi i marmocchi della strada passano di livello diventando criminali di serie A.

Un ritratto d'epoca pennellato ad arte dal grande De Sica, perfetto come film denuncia e critica sociale alla fallibilità del nostro sistema; così come poi è perfetto come film "ad altezza di bambino" nella forte amicizia dei giovani protagonisti.

Amicizia rovinata dagli adulti e dal mondo che li circonda, trasformando il cavallo bianco che doveva essere la libertà per entrambi i ragazzini nella rovina di entrambi e il durissimo epilogo di questo film che non ha eguali nella storia del cinema.


CANE RANDAGIO (1949 - Akira Kurosawa)
Spostandoci dall'Italia al Giappone, restando però sempre in compagnia di un Maestro Assoluto del Cinema, Akira Kurosawa, famoso agli amanti dei "spaghetti western" per essere il regista di "La sfida del samurai" a cui il nostro Sergio Leone si ispirò (più che ampiamente) per il suo "Per un pugno di dollari".

Questo "Cane randagio" è un film ambientato in un Giappone ancora devastato nel corpo e nello spirito dalla guerra appena conclusa, durante una giornata d'estate di caldo insopportabile.

A bordo dei sovraffollati mezzi pubblici, un giovane e imberbe poliziotto si lascia rubare l'arma d'ordinanza e per lui sarà solo l'inizio di una giornata d'inferno, ritrovatosi solo e smarrito nei bassifondi dei "cani randagi" con la paura che la sua stessa pistola possa essere usata per un delitto.

Automatici i paragoni con il "Ladri di biciclette" di cui parlavamo prima, con la pistola però come furto scatenante la ricerca spasmodica del protagonista, non più per le strade e i vicoli di Roma ma nella Tokyo tanto cara al regista giapponese.

A conferma del parallelo basta guardare il travestimento pseudo-militare con cui il giovane poliziotto si inoltra nel ghetto, praticamente identico alla tenuta del ladro che ruba la bicicletta di Lamberto Maggiorani nel capolavoro italiano di De Sica, uscito al cinema giusto l'anno prima.

In questo contesto il viaggio e la discesa del poliziotto hanno sfumature quasi Dantesche, con il più anziano e disilluso collega Takashi Shimura a fare da Virgilio nell'interminabile ricerca dell'assassino che sta seminando morte con l'arma rubata al giovane ancora impreparato per il suo lavoro.

Un film perfetto che sublima il talento narrativo di Kurosawa, che poggia sulla semplicità delle sequenze e la linearità di narrazione le sue solide fondamenta; unito al suo stile "sporco" con cui tratteggia una povertà allo sbando infestata dalla microcriminalità e piccole follie quotidiane figlie della disperazione sociale, sempre un tema irrinunciabile per il regista in ogni suo film.


VIALE DEL TRAMONTO (1950 - Billy Wilder)
Altro regista la cui filmografia parla da sola, oltre che grande sceneggiatore di commedie memorabili come "Sabrina", "A qualcuno piace caldo" o "Irma la dolce"; in questo caso però alle prese con un noir che ha fatto storia.

Un film che ha creato un "modo di dire", quel "viale del tramonto" che non è solo la strada di Hollywood (Sunset Boulevard) dove abita la protagonista interpretata da Gloria Swanson, per l'appunto nel ruolo della ex-diva ormai sfiorita che non accetta il suo tramonto come star e come attrice.

L'arrivo nella sua villa di un giovane sceneggiatore squattrinato, un altrettanto bravo William Holden, oltre che le proposte di un regista (il mitico Cecil B. DeMille nel ruolo di sè stesso) riaccendono nella donna un palpito di passione e di speranza per il futuro.

Ma l'amore del ragazzo è solo legato al benessere e la sicurezza dei suoi soldi e il regista non ha alcuna intenzione di farla recitare nel suo film, portando la storia alle estreme conseguenze e la follia totale della protagonista.

Un noir melodrammatico senza età e senza tempo, basta vedere le attrici di oggi oltre i 50 che ricorrono ad ogni forma di intervento estetico pur di restare giovani; consapevoli che ahinoi purtroppo sul calendario non si imbroglia e gli anni del successo, la bellezza e la felicità sono sempre destinati a finire.

Un film strepitoso che ha un'apertura e un finale indimenticabili, con il povero Holden ucciso nella piscina come voce narrante che ci introduce al film e la conclusione tragicomica della diva trascinata fuori dalla polizia con un sorriso felice stampato sul volto, ammattita al punto di credere di essere sul set del suo nuovo agognato e desiderato film.

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Articolo pubblicato il 07/09/2017