Appunti di viaggio in Russia (tredicesima puntata)
Scorcio del Giardino d'Estate, aperto nel primo Settecento per volere di Pietro il Grande

San Pietroburgo, la capitale dei Romanov nata dal sogno di Pietro, di Paolo Barosso

Nel 1763 l’imperatrice Caterina II la Grande che, contrariamente a Elisabetta, non amava il barocco, congedò il Rastrelli, dando il via a una fase di transizione verso il neo-classicismo, stile prediletto dall’imperatrice, di cui sarà campione il bergamasco Carlo Quarenghi, massimo interprete del Palladio (neo-palladianesimo). Dal 1819 con gli zar Alessandro I e Nicola I brillò la stella di Carlo Rossi che lavorò in un contesto urbano già definito nella sua fisionomia, con l’impostazione triradiale del tessuto viario e i sontuosi edifici della nobiltà, in prevalenza barocchi, allineati lungo gli anelli di canali che attraversano il centro.

Il Rossi lasciò la sua impronta sia nell’armonizzazione razionale di interventi isolati realizzati dai predecessori, sia in progetti dialoganti con la città storica, come l’immenso emiciclo dello Stato Maggiore che rimodella il fronte sud della piazza del Palazzo e che s’interrompe nel monumentale arco trionfale aperto dal Rossi, in memoria della vittoria russa del 1812 contro Napoleone, in corrispondenza della strada d’accesso ideata per collegare la prospettiva Nevskij con il palazzo d’Inverno.

La tradizione architettonica russa, reinterpretata, riemerse con forza nel corso dell’Ottocento, anche come reazione al neoclassicismo, sfociando nell’elaborazione d’uno stile eclettico detto “pseudo-russo”, di cui la realizzazione più celebre è la chiesa della Resurrezione (1883-1907), ispirata alla cattedrale moscovita di San Basilio, nota anche come chiesa del Salvatore sul Sangue Versato perché costruita sul luogo dell’attentato che costò la vita all’imperatore Alessandro II nel 1881.

La fondazione di San Pietroburgo, finestra sull’Occidente, indicava la volontà di tracciare nuovi percorsi di sviluppo per la Russia, erede dell’identità bizantina e protesa verso l’Asia, ma ciò non avvenne spezzando il legame con il passato, bensì in continuità con esso: anche dopo il trasferimento della corte, avvenuto nel 1712, e il trasloco di gran parte della nobiltà moscovita, obbligata a prender casa nella nuova capitale, abbellita da sfarzose residenze affacciate sulla Neva o allineate lungo la prospettiva Nevskij, le cerimonie d’incoronazione degli zar continuarono a svolgersi a Mosca nell’antica cattedrale della Dormizione.     

Anche nella scelta del sito, sul delta della Neva, si mescolarono ragioni strategiche e simboliche. Il primo nucleo della città sorse nel 1703 come avamposto fortificato contro gli Svedesi su una piccola isola alla foce della Neva: qui Domenico Trezzini progettò una fortezza con cinta bastionata che corre lungo il perimetro insulare e che accoglie al suo interno l’imponente cattedrale dei Santi Pietro e Paolo, capolavoro dello stesso Trezzini. La chiesa, che segna il panorama urbano con la sua altissima guglia d’aspetto nordicizzante sormontata da una sfera dorata con angelo portacroce, venne destinata a sepolcreto dinastico dei Romanov, con le tombe di 33 membri della dinastia imperiale. All’interno si trova una cappella in cui dal 1998 riposano i resti mortali identificati come appartenenti all’ultimo imperatore, Nicola II, alla famiglia, al medico e ai fedeli servitori, assassinati dai Bolscevichi nel luglio 1918 a Ekaterinburg e in seguito fatti a pezzi con asce e coltelli, sfigurati con l’acido solforico e dati alle fiamme per impedirne il riconoscimento.

Come si è detto le ragioni strategiche s’intrecciano con richiami simbolici. Proprio in questo punto, alla foce della Neva, uno degli eroi del patriottismo russo, venerato come santo dalla Chiesa ortodossa, il principe Aleksandr di Novgorod, detto Nevskij, aveva sbaragliato nel 1240 gli invasori svedesi, prefigurando l’impresa di Pietro il Grande contro la Svezia di re Carlo XII. Nella geografia urbana di San Pietroburgo l’omaggio alla memoria del principe, che unisce i tratti del principe guerriero a quelli dell’uomo devoto, fattosi monaco nel 1263 e proiettato in una dimensione di santità (Pietro Il Grande preferì porre l’accento sulle virtù militari, tanto che proibì nelle icone di rappresentarlo nelle vesti di monaco, ma solo di soldato), si rispecchia nella prospettiva Nevskij, la monumentale arteria stradale che dopo quasi 5 chilometri di percorso raggiunge il monastero dedicato a Sant’Aleksandr Nevskij, sorto nel 1713 per volontà di Pietro il Grande.

Tra gli edifici di maggiore evidenza simbolica nel centro di San Pietroburgo vi è il palazzo dell’Ammiragliato, tra la piazza del Palazzo e la piazza del Senato (nota anche come piazza dei Decabristi in memoria dei moti decabristi del 1825), oggi sede della Scuola Superiore della Marina da guerra, visibile quasi da ogni punto della città per la sua altissima guglia dorata. Il monumentale aspetto neoclassico, frutto della ricostruzione compiuta tra 1806 e 1823 del preesistente edificio voluto da Pietro il Grande nel 1711 e distrutto da un incendio, e la posizione al centro della città, nel punto di convergenza del cosiddetto Tridente, formato dai tre assi viari principali, la prospettiva Nevskij, la via dell’Ammiragliato e la via dell’Ascensione, rendono d’immediata evidenza l’importanza fondamentale attribuita da Pietro I allo sviluppo della flotta militare, di cui San Pietroburgo divenne il centro principale.

Partendo dalla constatazione che “un sovrano ha due mani soltanto se possiede un esercito e una flotta”, l’imperatore fu determinato nel perseguire i due obiettivi, il potenziamento dell’esercito e l’organizzazione d’una marina militare, indispensabile per competere con le grandi potenze europee. Dopo la presa del potere, avvenuta nel 1689 alla morte del fratellastro Ivan V, con cui aveva condiviso dal 1682 il titolo di zar, e seguita alla reclusione in convento della sorellastra Sofia, che perse così la reggenza dello Stato, nel 1697 Pietro, allo scopo di migliorare le proprie competenze nella cantieristica navale, intraprese un lungo viaggio in Occidente, noto come la “Grande Ambasceria”, tra Prussia, Olanda, Inghilterra, presentandosi come un semplice diplomatico. Tornato in patria nel 1698 per stroncare una nuova sollevazione degli Strelizzi, dopo aver punito i responsabili e sciolto l’antico corpo di arcieri creato da Ivan il Terribile, dedicò il proprio tempo a mettere in pratica ciò che aveva appreso. Gli sforzi di Pietro, dopo la grande vittoria di Poltava in Ucraina del 1709, trovarono coronamento nella battaglia navale di Hangö del 1714 che vide la flotta russa sbaragliare la marina svedese, sino ad allora ritenuta invincibile.

Paolo Barosso

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Articolo pubblicato il 21/09/2018