Africa: una prateria per il Coronavirus?

Dentro (e fuori) il continente, la massiccia presenza cinese comporta preoccupanti rischi

Oltre 43.000 casi di contagio, più di 1.000 morti, un’eziologia (ovvero lo studio delle cause) ancora assolutamente nebulosa e dibattuta: e poi, ancora, oltre 50 milioni di persone isolate e in isolamento dal resto del mondo. Una Nazione, la Cina – che vale 1/5 del PIL mondiale e che secondo taluni è piuttosto un continente, specie se rapportata alle dimensioni della nostra minuscola Europa – in lotta con un nemico insidioso e invisibile, capace però di metterne in ginocchio la galoppante economia.

Sono le manifestazioni e le conseguenze del Coronavirus, un’infezione che ieri l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha definito “più pericolosa del terrorismo”, con concrete possibilità di diffusione a livello globale.

E se il virus è cinese, ora però l’insidia maggiore si chiama Africa.

Nell’ignavia e nel silenzio di Governi e organismi di (dis)informazione (peraltro invitati dalla stessa OMS a “svegliarsi”), la verità è che la presenza cinese in Africa risulta aumentata negli ultimi 15 anni di oltre il 600%. Il Paese del Dragone lì fa affari d’oro (a volte spregiudicati), annidandosi (proprio come un virus) in contesti economici incapaci di reggersi autonomamente.

Gli scambi con la Cina sono fitti e capillari e la presenza di comunità cinesi folta e massiccia. Per questo il dato stando al quale non ci sarebbero ancora stati casi di contagio da Coronavirus in Africa – seppur ammissibile – pare almeno sospetto. Il nodo cruciale risiede nel fatto che molti dei Paesi africani non siano purtroppo dotati dell’armamentario scientifico e infrastrutturale (ospedali adeguati in primis) necessario per diagnosticare e contenere la malattia. La quale, potenzialmente, potrebbe trovarsi di fronte una prateria da calcare senza alcuna resistenza.

Sarebbe un ennesimo flagello per l’Africa, già provata dal terribile virus Ebola e dalle molte malattie che (spesso senza che il resto del mondo ne parli o se ne accorga) ne falcidiano la popolazione. E poi – inutile tentare di nascondere la testa sotto la sabbia – si aprirebbe il problema dei flussi incontrollati di migranti verso l’Europa, i quali potrebbero contrarre il virus prima della partenza verso le nostre coste.

Non si tratta di allarmismo ma di paura.

Prefigurarsi gli scenari più infausti aiuta spesso a evitarli, a elevare le nostre difese nei confronti di un nemico che – fino a quando la Scienza non avrà predisposto un vaccino – possiamo soltanto contenere. Con la priorità di salvare vite umane evitando il dilagare dei contagi.

 

(Immagine in copertina tratta da wbur.org)

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Articolo pubblicato il 12/02/2020