Archeologia Industriale: The Nizhny Tagil Charter for the Industrial Heritage

Di Marco Montesso (prima parte)

Nizhny Tagil, Basso Tagil, in italiano, dal nome del fiume che la attraversa, è una città della Russia, situata nella regione degli Urali. Il capoluogo, Ekaterinburg, a nord ovest, dista 150 km. Il suo nome entra nella storia del Paese nel 1696, a seguito dell’apertura della prima cava mineraria. Negli anni assume un ruolo sempre più importante nel settore minerario e siderurgico fino a divenire una delle capitali industriali dell’URSS. Grazie alla sua solidità industriale e ad una intelligente evoluzione e riconversione, politica ed economica, nel passaggio alla democrazia, la città ha mantenuto e sviluppato il suo ruolo in Russia. Oggi è pure il più importante centro culturale degli Urali, sede di musei, prestigiose biblioteche e svariati teatri dalle pregevoli rappresentazioni.

Il 17 luglio del 2003 il TICCIH, The International Committee for the Conservation of the Industrial Heritage, organizzazione internazionale che si prefigge di conservare e valorizzare il patrimonio industriale, così come si è andato a crearsi e svilupparsi dalla seconda metà del Diciottesimo secolo, a seguito della nota c. d. Rivoluzione Industriale scaturita dall’Inghilterra, redasse la Carta in esame che prese il nome dalla località degli Urali. Trenta anni dopo che TICCIH si costituì in Gran Bretagna. Fu in occasione della sua First International Conference dedicata all’Industrial Archaeology, che si svolse a Ironbridge, nomen omen, nel Regno Unito. Essa coordinò i lavori in ambito della Archeologia Industriale (A. I.), promuovendo l’apertura di sedi periferiche nazionali, o col nome stesso o diverso come in Italia in cui AIPAI (Associazione Italiana per il Patrimonio Archeologico Industriale) ne è l’articolazione in loco.

Questo si sviluppò, ovviamente, nei principali Stati con una tradizione industriale almeno secolare e a tutt’oggi i membri son 35. Si stabilì che ogni tre anni venisse organizzato un convegno in un Paese membro. Nel 2003 toccò all’Italia.

Negli anni sono stati definiti vari Comitati al suo interno ognuno dei quali dedicato ad un ambito specifico dell’Industrial Heritage.

Oggi sono i seguenti:

Agricoltura e Industria alimentare – Ponti - Comunicazioni - Industria elettrica - Metallurgia - Industria mineraria - Industria della carta - Regioni polari – Ferrovie - Industrie tessili – Acque.

Già dal 1965, tuttavia, esisteva un organismo denominato ICOMOS, International Council on Monuments and Sites, con sede a Parigi, che fu il risultato del recepimento dei dettami della Carta di Venezia del 1964 e dei consigli dell’UNESCO, ente ONU che si occupa dei beni culturali tout court.

La Carta di Venezia per il restauro e la conservazione di monumenti e siti, per dare la denominazione ufficiale completa, ha rappresentato il primo tentativo di formulare un Codice di standard professionali e di linee guida, tali da costituire un quadro di riferimento internazionale utile a disciplinare gli interventi degli specialisti.

L’esigenza nacque dal disciplinare al meglio i lavori di conservazione e restauro sia dei monumenti che dei manufatti architettonici, nonché di siti storici ed archeologici. Per approfondire questo argomento, così come per TICCIH e ICOMOS, si rimanda alle informazioni istituzionali reperibili sul web, ivi unitamente alle singole voci su Wikipedia.

L’essenza della Carta di Nizhny Tagil, per approfondirne la conoscenza si sappia che anch’essa è presente in lingua russa e in quella inglese in rete, sorta dal connubio di TICCIH e ICOMOS, sotto l’egida dell’UNESCO, risiede nel desiderio di mettere dei punti fermi circa l’arco temporale che gli studiosi devono tener presente nella ricerca e analisi dei siti e manufatti da potersi definire di interesse per l’Archeologia Industriale. Nel contempo, fissandone i confini temporali, optando per la tesi sincronica, la Carta conferisce ulteriormente valore e prestigio alla Disciplina.

Per far ciò, nel Preambolo, chiarisce come debba considerarsi fondamentale per la comprensione della storia umana l’interesse verso i beni che sono stati creati nel corso dei millenni. Ricorda, poi, come dal Medioevo, in Europa siano iniziati a svilupparsi quei progressi in ambito produttivo che si son irrobustiti e fatti organizzazione via via più razionali man mano che si è giunti ad una più completa e rilevante gestione dell’energia.

Il motivo di questa evoluzione è dovuto al progressivo accumulo di conoscenze scientifiche, fisiche e chimiche, con la successiva, sempre maggiormente rilevante, ricaduta tecnologica che ha portato alla costituzione di macchine vieppiù sofisticate e performanti.

Macchine che han avuto lo scopo di alleviare la fatica umana e di moltiplicarne le potenzialità produttive con, anche, migliori ricadute nei commerci. Questo è iniziato ad appalesarsi in Inghilterra verso la fine del Diciottesimo secolo.

Si ricorda altresì che tale sviluppo tecnologico e commerciale, per spiegarsi con termini generici ma delucidanti, ha costituito per l’Umanità un salto in avanti nella strada del progresso analogo a quello conosciuto nel passaggio dal Neolitico all’Età del Bronzo.

Va da sé che i manufatti architettonici, come gli stabilimenti, e i beni strumentali, quali i macchinari, nonché le infrastrutture viarie, i ponti, e poi anche ferroviarie, unitamente ai villaggi edificati allo scopo di dare un tetto alle maestranze siano da considerarsi beni culturali tutelabili, aventi lo stesso valore e dignità di un Tempio greco o della Piramidi.

Ovvio, a questo punto, che tutta questa “filosofia” pro A. I. sia figlia della rivoluzione in campo storico delle Annales, di francese memoria, che dagli anni Venti del secolo scorso ha fatto da battistrada ad una concezione inter-multi-socio-demo-antropologica della memoria umana, basata sulle singolarità superando la visione Evenementielles dei grandi.

Si perviene, poi, sulla Carta, alla definizione del Patrimonio Industriale, quell’Industrial Heritage che, come si sa, fu l’espressione utilizzata dai primi cultori britannici dell’A. I., fondando negli anni Cinquanta del secolo scorso le prime associazioni di volontari vocati alla sua valorizzazione.

In modo definitivamente esaustivo si stabilì che oggetto d’interesse dell’A. I. debbano essere ogni resto riconducibile alla Cultura Industriale. La sua declinazione comprese tutti quei “beni” aventi valore storico, tecnologico, sociale, architettonico o scientifico. Andando nello specifico si definì quali essi siano: resti o ruderi, talvolta, di stabilimenti e luoghi deputati al lavoro, macchinari, mulini, fabbriche, miniere, siti dedicati ai processi produttivi, magazzini, strutture in generale dove si generava, trasportava e utilizzava l’energia, magazzini, empori, vie e mezzi di trasporto come ferrovie e treni e loro infrastrutture e in generale, così come ambiti di aggregazione sociale per i lavoratori dell’industria, compresi i villaggi operai, i luoghi di culto o di istruzione.

Marco Montesso – montesso.marco@icloud.com

 

Foto di apertura e foto nel testo da pexels.com/it-it/; nel testo foto 01 (cottonbro e kaboompics); foto 02 (Isaac Weatherly); foto 03 (Artem Saranin e Emre Can).

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Articolo pubblicato il 10/04/2020