Torino, bruciati in piazza i manichini di Salvini e Di Maio

In oltre cinquanta città italiane studenti in piazza contro il governo

Il rito macabro si consuma di fronte alla Prefettura di Piazza Castello in un’uggiosa mattina autunnale.
Trecento studenti, coordinati dal comitato Studenti Indipendenti, che un paio d’ore prima erano partiti da Piazza Arbarello, storico punto d’incontro per le manifestazioni torinesi, per giungere nel cuore della città dove, appunto, han dato fuoco alle stampe dei volti dei due vicepremier, montati su trespoli in legno e con busto fatto di carta e stracci sporchi di “sangue”. Il tutto sotto gli occhi vigili delle forze dell’ordine che come spesso capita hanno preferito non intervenire controllando non degenerasse la cosa.
A far da sfondo al rito qualche coro, sempre rivolto contro il segretario del Carroccio e tanti cartelli contro il Governo: «Lega Salvini e lascialo legato», «Una scuola sicura è antirazzista è antifascista».
Sui lampioni di piazza Castello sono state inoltre attaccate alcune foto dei leader di Lega e Movimento 5 Stelle col volto imbrattato di vernice rossa
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Per restare nel solco della tradizione piromane davanti alla sede del Miur, in Corso Vittorio, è stata bruciata una telecamera in cartone su dei mattoni “I mattoni sono quelli che rischiano di caderci in testa tutti i giorni - spiegano - Le telecamere sono quelle che vogliono mettere in ogni scuola per controllarci”.

La protesta, che ha coinvolto le principali città di tutta la Penisola, aveva come bersaglio la Legge di Bilancio che, secondo studenti e docenti porterà a un taglio delle risorse scolastiche e ad un aumento dei costi relativi all’istruzione, ma è stata anche l’occasione per mostrare aperto antagonismo a un  governo che dal punto di vista dell’ immigrazione e dell’accoglienza sta andando contro parte del pensiero divulgato tra i banchi.
Viene contestata la presenza dell’alternanza scuola/lavoro, considerata dai manifestanti una forma di sfruttamento non retribuito e l’idea, avanzata a più riprese da membri autorevoli della maggioranza, di istituire la leva obbligatoria e imporre maggiore sicurezza all’ interno delle scuole con la presenza di telecamere e controlli.
Spiega Giammarco Manfreda, coordinatore nazionale della Rete degli Studenti Medi “Non possiamo più accettare che questo governo si riempia la bocca di parole come “cambiamento”, per poi offrire solo regresso. Telecamere nelle scuole e leva militare sono provvedimenti dannosi e inutili. Diciamo no alle manovre di “risparmio” sulla scuola, come il taglio di 100 
milioni annunciato qualche giorno fa, no a una visione limitata del ruolo dei giovani e dell’Istruzione nella società. Se il governo non ha paura di cambiare, lo dimostri investendo in istruzione».

Come detto si sono registrati cortei e manifestazioni in tutta Italia con una partecipazione a dir il vero nemmeno così sentita: visto che elementi per contestare l’eventuale riforma scolastica ancora non ce ne sono, si è limitati a esaltare Mimmo Lucano, il sindaco ribelle di Riace finito in manette con l’accusa di favoreggiamento all’immigrazione, o a vedere la sfilata dei soliti centri sociali e Movimenti per la Casa che quando c’è da scendere in piazza non mancano mai.
Un mix di idee e intenti mal gestito che presumibilmente non porterà ad alcun risultato, se non quello di guadagnarsi qualche copertina per la scelta poco saggia di bruciare il volto di due politici votati in democrazia: riti boomerang che favoriscono il sorgere di solidarietà verso le vittime e relegano gli studenti dalla parte del torto.
Non stupisce poi che lo sciopero sia stato indetto a inizio anno scolastico, quando perdere un giorno non comporterà ripercussioni sulla carriera degli studenti, e specialmente di venerdì: per molti docenti si è semplicemente trattato dell’occasione giusta per far partire il weekend un giorno prima.
Insomma, nuovo anno, vecchie abiudini.

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Articolo pubblicato il 12/10/2018