Elogio della Riconoscenza

Proseguono le considerazioni sulle sette Virtù "Capitali". Oggi è la volta della Riconoscenza.

 

Elogio della Riconoscenza

 

Ringraziare va sempre bene; non costa nulla e non danneggia nessuno. Crea un ponte, una felice comunicazione tra chi ringrazia e chi è ringraziato. Perché questo avvenga bisogna però non dare per scontato il bene ricevuto, cioè dare più peso a quello che abbiamo, soprattutto quando possiamo goderne anche grazie all’aiuto di altri, piuttosto che a quanto ci manca.

La solita storia del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto? Può darsi, ma credo che oggi, in una società che sembra aver fatto del lamento a priori, soprattutto nel nostro paese, uno dei suoi sport preferiti, forse una riflessione sulla riconoscenza e sul ringraziamento non è poi così fuori luogo. Il campo della riflessione è veramente ampio, per cui restringerei le mie considerazioni all’ambito etico e religioso, inteso nel senso più laico e tollerante possibile.

Laicità e religione: strano connubio. Vediamo come Claudio Magris in un articolo sul Corriere della Sera del 1998 ha definito l’aggettivo laico:

 

Laico è chi sa aderire ad un’idea senza restarne succube, impegnarsi politicamente conservando l’indipendenza critica, ridere e sorridere di ciò che ama continuando ad amarlo; chi è libero dal bisogno di idolatrare e di dissacrare, chi non la dà a bere a se stesso trovando mille giustificazioni ideologiche per le proprie mancanze, chi è libero dal culto di sé. Una volta mio figlio, vedendomi troppo coinvolto da un astioso attacco personale, mi rimproverò dicendomi: “Sii più laico!”

Sono parole che suggeriscono incursioni dell’etica laica in quella religiosa; quale cristiano, per esempio, un buon cristiano naturalmente, non un bigotto baciapile, non converrebbe con il pensiero di Magris? Perché mai non vorrebbe attribuire anche a se stesso queste caratteristiche? Insomma, la religione può essere laica? Al di là della contrapposizione (sacrosanta dal punto di vista lessicale) che ogni vocabolario indica fra i due termini, Io penso di sì: credo sia possibile credere che la vita abbia un senso, non attribuire tutto al caso, (e quale religione, rivelata o non, non si riconosce in questo concetto?) senza per questo aderire a nessuna religione in particolare. So bene che non è un pensiero così originale: l’ha già raccontato magistralmente Montesquieu nelle sue Lettere persiane e il deismo illuminista, con tutti i doverosi distinguo e invocando il perdono di Voltaire e di Rousseau per la banalizzazione, consapevole, che sto facendo del loro pensiero, in fondo forse si può sintetizzare in questi termini.

Così etica laica e “religione” si avvicinano; l’etica si affaccia sul mondo degli universali e la religione scende sulla terra.

Non voglio convincere nessuno, per carità. Solo ho ritenuto opportuno questo excursus per arrivare a spiegare perché la riconoscenza, e quindi l’’importanza del ringraziamento, attengano sia alla sfera dell’etica laica  che a quella della religiosa.

Sì, perché alla fine qui si sta tessendo la lode del ringraziamento, della riconoscenza.

E se è vero (almeno a parer mio) che, come afferma un celebre aforisma di G.K. Chesterton, “La misura di ogni felicità è la riconoscenza”, il passaggio dalla felicità che ci procura il ringraziamento, inteso come profonda e sincera gratitudine verso chi si è prodigato per noi senza nulla chiedere in cambio, a quella espressa nella lode, nella “lauda” religiosa, medioevale ma eterna nel suo significato più autentico, direi che è quasi inevitabile.   

La cifra fondamentale della preghiera di ringraziamento più bella che sia mai stata scritta, secondo me, il “Cantico di Frate Sole” di San Francesco d’Assisi, è l’umiltà dell’autore nell’esprimere il suo amore incondizionato verso Dio e il creato.

Umiltà, ma anche riconoscenza e soprattutto gioia, gioia di quanto Dio ci ha donato: la “lauda” è un ringraziamento. Francesco non chiede nulla: ringrazia e basta.

? la preghiera più bella. ? quella che sicuramente ciascuno di noi, consapevolmente o meno, ha pronunciato, magari solo con le parole del cuore, quando si è innamorato per la prima volta, quando ha visto la luna sul mare all’improvviso, quando, da adulto, ha sentito un profumo o una musica che l’hanno fatto tornare adolescente per un attimo (ma che meraviglia questo verbo adolesco, che racchiude la fetta fondamentale della vita tra il suo participio presente e quello passato!), facendogli provare emozioni che sembravano ormai perdute. ? quel ringraziamento verso tutti  e verso il tutto, il ringraziamento universale che sono certa ognuno di noi ha pronunciato almeno una volta nella vita, sotto un cielo stellato o quando l’alba biancheggia sulla neve, in una chiesa o in un museo, mentre mormora un mantra o prega con il suo cappello nero davanti al Muro del Pianto; o ancora durante un concerto rock a San Siro  o all’Arena di Verona, riempiendosi occhi, orecchie e cuore con l’”Aida” di Verdi. Impariamo a ringraziare tutti, magari ad aggiungere un “grazie” anche quando salutiamo. Sotto ogni “grazie” che pronunciamo si nasconde quel senso di appagamento, di accettazione profonda di sé e del mondo che può farci sentire meglio. Forse vale la pena di pronunciare tante volte le sei lettere magiche per trovarlo.   

 

 

 

 

 

 

 

 

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Articolo pubblicato il 21/01/2020