Non sono dei “fighetti”

Sul “rientro dei cervelli” in patria

 

Sappiamo tutti che con la nuova finanziaria si è raschiato il fondo del barile per cercare di tenere a galla il nostro malcapitato paese, ma alcuni tagli davvero stupiscono. Per esempio è quanto meno sorprendente che questo governo, a parole tanto patriottico, non aiuti il nostro paese, la nostra patria, appunto, ad accogliere i giovani lavoratori che dopo un’esperienza all’estero ambiscono a rientrare in Italia e a continuare la loro attività nel nostro/loro paese, portando con sé nuove idee, nuove competenze e una mentalità sicuramente più aperta.

I benefici fiscali previsti per facilitarne il rientro sono  stati infatti ridimensionati non poco dalle misure presenti nella finanziaria appena approvata; spero che con i decreti attuativi qualcosa cambi e l’Italia non presenti a questi giovani (e meno giovani) lo stesso volto che ha spinto molti di loro ad allontanarsene.

E stupisce che una fetta consistente dell’opinione pubblica (quella a cui il governo strizza l’occhio, immagino) sia d’accordo con queste riduzioni e definisca “fighetti” gli Italians a cui Beppe Severgnini ha dato tanto spazio nei suoi articoli, nei suoi libri e nei suoi viaggi. Ho ascoltato qualche giorno fa un podcast di Severgnini, appunto, in cui un’ascoltatrice approvava il ridimensionamento  dei benefici fiscali sostenendo che i cittadini italiani A.I.R.E. (Anagrafe Italiani residenti all’estero) sono dei “fighetti” che non hanno bisogno di aiuto per il loro rientro.

Che forse ci sia un po’ di invidia per chi si è costruito una solida carriera all’estero basata sul merito e non sulle conoscenze di mamma o papà? Chissà. Comunque, può anche darsi che parlare di “bisogno” nei confronti della maggior parte di loro sia poco preciso (anche se per alcuni forse è così), ma che si meritino di  essere aiutati a rientrare in un paese dove la prospettiva di lavoro sarà sicuramente meno redditizia e le possibilità di miglioramento di carriera probabilmente più scarse, direi che è quanto meno opportuno.

Opportuno per loro e per il paese. Infatti, perché molti giovani promettenti se ne sono andati? Tanti perché le università italiane e le stanze dei bottoni di aziende di prestigio sono occupate da gerontocrati che considerano con sufficienza chi non abbia almeno cinquant’anni e non apprezzano l’entusiasmo dei giovani, anzi spesso li guardano con sorrisi compiaciuti e condiscendenti mentre lavorano su progetti di cui poi magari si prenderanno loro il merito.

Si può dar torto ad un giovane ricercatore se sceglie di lavorare in un paese dove la sua attività è apprezzata e gli vengono dati i mezzi per portare a termine il suo progetto in tempi brevi e soprattutto dove non si lavora per la gloria, ma, mentre si fanno fare passi avanti alla ricerca, è anche possibile metter su famiglia e vivere come si conviene a chi fa un lavoro importante per sé e per gli altri?

Oppure altri giovani hanno semplicemente scelto di fare un’esperienza all’estero per conoscere meglio il mondo in cui vivono, non solo l’Italia, responsabilizzandosi lontani dalle gonnelle della mamma e dal portafoglio del papà (o magari di tutti e due), ampliando i propri orizzonti per confrontarsi con lingue, usi e costumi diversi. Cosa c’è di sbagliato in queste scelte, perché poi il nostro paese mette loro i bastoni tra le ruote quando decidono di rientrare e di mettere a frutto le loro competenze nel nostro/loro paese?

Vogliamo proprio che questo capitale umano resti infruttifero per noi, che continuino a pagare le tasse all’estero, quando magari il loro sogno è quello di tornare in Italia e di investire nel nostro paese ciò che hanno guadagnato all’estero? Eppure sembra che la tendenza sia questa.  Oggi cominciamo col diminuire i benefici fiscali, impediamo a chi rientra di lavorare per lo stesso ente/azienda per cui lavorava all’estero, e poi? Non è così assurdo pensare che pian piano gli incentivi per il “rientro dei cervelli” verranno meno.

Infatti purtroppo le conclusioni a cui arriva Severgnini in proposito sono sconfortanti, ma realistiche: gli Italians sono pochi, troppo pochi i loro voti per contare qualcosa in questa continua campagna elettorale in cui è scivolato il nostro paese. Eppure pare provato che le minoranze agguerrite e unite riescano ad ottenere, o mantenere, come accade per i balneari o i taxisti, i loro privilegi ( tali, almeno a mio modesto avviso), anche a discapito della comunità.

Ma gli Italians, oltre ad essere pochi, come dicevo, non riescono a costituire una minoranza agguerrita, perché troppo lontani tra loro e forse troppo impegnati nei loro studi o lavori, nonché a sognare di tornare nel loro paese, che, almeno nel caso dell’ Italia, non sembra proprio pronto ad accoglierli a braccia aperte.

Sì, perché se la scelta di lavorare all’estero ha implicato tanti vantaggi, non dimentichiamo a quante cose hanno rinunciato molti A.I.R.E. Il Natale in famiglia, l’ultimo saluto al nonno che è mancato improvvisamente, la festa dei diciotto anni della sorella, l’abbraccio al fratello diventato papà prima del tempo, la festa dei quarant’anni di tanti amici, magari anche il matrimonio del cugino più caro. Quindi? Cerchiamo, noi che li appoggiamo, di tenere viva l’attenzione del governo su di loro e speriamo anche che non si scoraggino e cerchino di far sentire la loro voce, tutti insieme.      

© 2023 CIVICO20NEWS - riproduzione riservata

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 14/11/2023