La «Torino noir» vista e narrata da Milo Julini

Il risanamento e la leggenda di via Stampatori

Per una curiosa coincidenza la notizia del definitivo sgombero delle case malfamate di via Stampatori compare nella Cronaca Cittadina de La Stampa il 28 agosto 1913, a fianco dell’annuncio della morte del poeta e scrittore Alberto Viriglio. La scomparsa dell’autore di vari libri dedicati alla Torino del passato viene così a corrispondere sia pure del tutto casualmente con l’inizio della fine di quella che può essere considerata l’ultima Corte dei Miracoli sita nel centro storico cittadino.

Scrive l’anonimo cronista:

 

Il risanamento di via Stampatori

 

L’opera di risanamento, tante volte invocata e recentemente imposta dalla deliberazione unanime del Consiglio Comunale, sta per compiersi. Quel tratto di via Stampatori compreso tra la via Bertola e Santa Maria cadrà sotto il piccone demolitore, con tutte le sue nequizie, e dove fino ad ora è stata l’ombra e vi ha disseminato i suoi germi la putredine, entreranno la luce e il sole.

Attorno ai vasti edifizi segnati coi numeri 14, 16 e 18 si innalzano già gli steccati a protezione degli imminenti lavori e da quel labirinto di alloggetti, di stanzaccie, di cortili ha incominciato ad emigrare tutta una turba scomposta di donne. Uomini d’ogni età, ma giovani in maggioranza, aiutano con una cert’aria di spavalda galanteria il triste compito delle loro compagne ed i cumuli dei letti, dei comò, delle sedie si protendono qua e là sul marciapiede, sormontati da una multiforme gradazione di specchi, di statuette e di oleografie, un po’ stinte o affumicate, ma in compenso assai... suggestive e armonizzanti con l’ambiente.

Donne e uomini, benché preparati da un pezzo a questa dura necessità, si sono accinti allo sgombro con una sottomissione forzata, con una acredine mal celata, che si va risolvendo ad ogni passo in imprecazioni o minaccie. Poiché quello era il loro regno, ovo non erano sudditi, ma signori e padroni.

Vi fu infatti un tempo in cui neppure la vigilanza assidua e accanita della pubblica sicurezza valse a porre un freno alla turpitudine e al delitto. Le nostre cronache hanno narrato col più foschi contorni d’una donna trovata sgozzata nel proprio letto per la più bassa vendetta: di due giovani accoltellate di notte, sotto un fanale, all’angolo d’un vicolo, da alcuni misteriosi figuri sbucati da una porticina sempre aperta e scomparsi in un cortile oscuro come una tana; di una femmina scannata in pieno giorno con una rasoiata alla gola, sotto gli occhi delle amiche, le quali invano rincorsero l’assassino per i meandri del caseggiato, mentre inutilmente la Polizia gli diede la caccia; e le nostre cronache hanno ancora narrato i ferimenti, le aggressioni, le violenze delle quali tutta la città udiva l’eco con un senso di dolorosa indignazione.

La trista emigrazione è incominciata e la turba spodestata, ora umile e confusa, si insinua qua e là nelle adiacenze, nelle vicinanze a chiedere un alloggio. I padroni di casa, i quali per una simile irruzione temono che se ne vadano i vecchi inquilini, sono restii a concedere, sia pure una soffitta; e difatti di che cosa dovremmo oggi rallegrarci se questo sciame disperso dovesse ricomporsi un giorno in un nuovo alveare poco discosto dal primo? Quali vantaggi potremmo riprometterci per l’avvenire da questa grande opera dl epurazione?

Due case soltanto verso via S. Dalmazzo sono state fino ad ora sgombrate completamente ed i vecchi muri abbattuti hanno già rivelato ai passanti foschi misteri di vecchie tapezzerie, piccole porte guernite da sudicie stoffe a brandelli, pavimenti disuguali e sconnessi, sui quali per la prima volta si accendono raggi di sole e l’aria vi porta i profumi della notte. Due case sono libere; ma nelle altre, fino a che il piccone non viene ad ammonire coi suoi colpi, la gente non si muove, non cede, non si arrende nemmeno all’intervento d’un usciere. Una donna ebbe tagliate le condutture dell’acqua e del gaz e si ostina a rimanere, avvertendo che ci vorrà un reggimento di soldati per sfrattarla. Un vecchio, che abita una stanzaccia da trent’anni, si è seduto sulla porta e minaccia di morte quanti avranno il coraggio di farlo allontanare… Di scenette consimili via Stampatori offre in questi giorni i più svariati esempi; uomini e donne imprecano, bestemmiano, complottano... ma poi uno ad uno, con le spoglie delle loro camerette sulle spalle, passano curvi e sudati per l’insolita fatica e se ne vanno per sempre.

Leggendo questa descrizione così vivace dell’anonimo cronista è inevitabile il confronto con l’aspetto attuale della via, occupata dal grandioso Palazzo della Luce e dall’altro edificio che occupa metà dell’isolato di S. Andrea, in un passato prossimo sede di uffici della allora Provincia di Torino.

A questo punto viene da chiedersi: quale ricordo scritto è rimasto della via Stampatori “criminale”?

Il principale testimonial di questa realtà criminale torinese è stato Mario Gioda, come ricordato in precedenza. Qualche vago accenno si trova nel libro autobiografico “I misteri della malavita torinese. Vita e avventure di Gioanin 'l cit d' le Tour” scritto da Ernesto Berra (Torino, 1922).

In tempi molto più recenti, lo scrittore torinese Alberto Fenoglio, fortunato inventore di una serie di libri ispirati dalla formula “Torino e Piemonte misteriosi”, nel suo “Torino misteriosa” scritto con Maria Russo (Torino, 1981) ha coniato il termine di “Casermone di via Stampatori”, mai utilizzato dalle cronache coeve anche perché erano coinvolti ben tre isolati e non un singolo edificio.  

Questo termine è stato ripreso dal recentissimo apocrifo dedicato a Sherlock Holmes, “Il caso del collare dei Savoia” scritto da Anna Maria Bonavoglia (Buendia Books; 2019) e ambientato nella Torino del 1892, dove nella nebbia si consumano delitti efferati, mentre il furto del collare cavalleresco di Amedeo VI di Savoia, il Conte Verde, minaccia di liberare una forza diabolica. L’autrice colloca Sherlock Holmes, sopravvissuto allo scontro con il Professor Moriarty alle cascate di Reichenbach, proprio nel Casermone di via Stampatori, location a quanto pare ripresa da Fenoglio.

Così, nel Terzo Millennio, questa via che per molti anni ha rappresentato una inaccettabile realtà del centro storico, è stata nobilitata dalla presenza di un mito della letteratura poliziesca!

 

Anna Maria Bonavoglia, Il caso del collare dei Savoia, Buendia Books, 2019.

Alberto Fenoglio e Maria Russo, Torino misteriosa, Piemonte in Bancarella, Torino, 1981.

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Articolo pubblicato il 22/03/2020