Metà nero, metà azzurro

Come un appassionato di calcio diventò interista

 

“Metà nero, metà azzurro” è il titolo che un mio caro amico ha dato ad una pagina di diario che ha voluto che io leggessi. Vi si parla della sua grande passione, l’Inter. Anche io sono interista, ma sono una tifosa molto tiepida, legata più che altro ai ricordi di quando mia padre, da bambina, mi portava qualche volta con sé la domenica pomeriggio a San Siro (allora lo stadio di Milano si chiamava così) a vedere la partita.

E già questo racconta di un mondo del calcio diverso e che temo non tornerà più; allora trovare i biglietti era semplice, il loro costo abbordabile, non esistevano settori separati per le tifoserie delle due squadre in campo, gli ultras erano di là da venire e assistere ad una partita non prevedeva il rischio di incappare in disordini e pestaggi.

Per un papà portare la sua bambina a San Siro significava passare con lei un pomeriggio spensierato e condividere con lei una passione, senza rischi di alcun tipo. Ma torniamo alla pagina di diario e al suo racconto. Correva l’anno 1963 a Favara, un paese della Sicilia di allora, dove per un ragazzino non c’era gran che da fare, soprattutto se, come Marcello (chiameremo così il mio amico), aveva ben poche disponibilità economiche. Marcello aveva però una bella famiglia; un padre insegnante, una madre casalinga, tre fratelli e soprattutto il caro nonno Cali ( diminutivo di Calogero), che viveva con loro.

Da un paio d’anni era arrivato anche a Favara l’album Panini per la raccolta delle figurine dei calciatori. Marcello vedeva i suoi compagni scambiarsi le figurine all’uscita di scuola, ma non poteva partecipare a quel gioco che lo affascinava perché non poteva comprarsi né l’album, né le figurine, neppure la colla. Finché un giorno un compagno, impietosito dal suo sguardo triste, decise di regalargli alcuni doppioni e fu imitato presto da altri bambini.

A quel punto la necessità e il desiderio spasmodico di Marcello di avere un album di figurine aguzzarono il suo ingegno e trovò la soluzione. Chiese, ed ottenne, dal nonno il permesso di usare un suo vecchio quaderno e riuscì, mescolando acqua e farina, ad ottenere una colla casalinga: cominciò così a riempire il suo album fai da te con i doppioni dei compagni. Il tutto all’insaputa dei suoi genitori, che sicuramente non avrebbero approvato, ma con la complicità del nonno che non capiva la passione del nipote, ma la assecondava mostrandogli tutto il suo affetto.

Il colpo grosso  Marcello lo fece qualche tempo dopo, quando trovò per strada una decina di figurine avvolte in un elastico: cinque dell’Inter, quattro del Bologna e tre del Milan. Il giorno dopo vide i suoi compagni litigare a proposito di quelle figurine, accusandosi l’un l’altro di averle fatte sparire. Marcello si guardò bene dal dire che le aveva prese lui. La coscienza gli rimordeva un po’, ma il desiderio di riempire il suo album fu più forte di tutto.

Aveva dodici anni e quella fu la prima decisione difficile della sua vita. Una decisione magari non proprio onestissima, ma che dimostra quanto grande fosse la sua passione per il calcio. Una passione che nessuno in famiglia né capiva né tanto meno condivideva, ma che divenne il fulcro attorno a cui ruotarono l’affetto e la complicità del nonno Cali: non ci furono parole, ma solo fatti, secondo il rigido protocollo della severa tradizione  patriarcale siciliana e non.

Quando poteva, il nonno faceva scivolare nelle tasche di Marcello qualche bustina di figurine, finché un giorno arrivò la bustina magica: dentro c’erano le figurine di Suarez e Facchetti, proprio i due giocatori che mancavano per completare la squadra dell’Inter sul quaderno di Marcello. Il ragazzino dovette esprimere tutta la sua gioia in silenzio, per non dare adito a sospetti.

Era dicembre, e fu il più bel regalo che potesse ricevere, insieme alla certezza della complicità silenziosa del nonno. Il destino gli aveva dato un segno: sarebbe diventato un tifoso nerazzurro, anzi, lo era già. E niente avrebbe potuto fargli cambiare idea. Anche perché qualche tempo dopo il segreto tra lui e il nonno lo salvò da una punizione sicura. In casa di Marcello era  entrata da poco una radio, un  regalo al nonno, una radio dell’epoca, con tanto di mobile; in occasione di un goal dell’Inter, preso dall’entusiasmo, Marcello si aggrappò alla radio e la fece cadere per terra, mandandola in frantumi. Spaventati dal frastuono, i genitori accorsero e già il ragazzo si sentiva perduto perché non sapeva come giustificare l’accaduto, quando il nonno intervenne prontamente: “Meno male che ho potuto appoggiarmi alla radio!” disse. “Se non fosse stato per lei sarei caduto!”.

Non ci furono cenni d’intesa tra nonno e nipote, nessun sorriso: solo un fatto, una dimostrazione di affetto e comprensione. Marcello sentì rafforzarsi una volta di più la sua inevitabile appartenenza alla tifoseria interista e volle dimostrare la sua riconoscenza al nonno imparando a memoria la formazione della grande Inter di Helenio Herrera: tutto ormai, per lui, passava attraverso l’Inter.

Nonno Cali non sapeva neppure cosa fosse quell’elenco di nomi, ma era orgoglioso di sentire il  nipote ripeterlo con tanta sicurezza. E per il ragazzo sapere quella formazione voleva dire poter sfidare i ragazzi che avevano un album vero, significava non essere da meno, era quasi come salire in cima ad un palazzo su un ascensore sociale tutto nerazzurro. Quando nonno Cali morì, lasciò un vuoto profondo nella vita di Marcello, e se pian piano riuscì a colmarlo  fu anche grazie al ricordo della loro complicità silenziosa nel permettergli di coltivare la sua passione per l’Inter. Una passione che continua ancora oggi.  

 

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Articolo pubblicato il 09/11/2023