Valerio Zanone: un grande precursore

Il sindaco del grande rifiuto

Ci ha lasciato Valerio Zanone. E’ stato segretario del Partito Liberale Italiano dal 1976 al 1994.

Più volte ministro in governi di centro destra, è stato eletto nel 1990 sindaco della città di Torino. Resistette in tale carica per un anno e mezzo, poi fu colpito da quella sindrome del migrante che non lo abbandonò in tutta la sua successiva carriera politica.

Lasciò Torino senza avere capito che il ruolo di sindaco di una città come Torino era dieci volte più importate del ruolo di un parlamentare. Ma era la sua indole e l’instabilità era il mantra del suo ragionamento politico.

Tradendo in modo plateale ed imprevisto gli elettori della nostra città, Valerio Zanone aprì la strada a quella deriva che in breve consegnerà il governo di Torino nelle mani della sinistra, condizione drammatica che perdura ancor oggi.

Fu in seguito un grande precursore. Le trasmigrazioni ed i salti della quaglia che sono pratiche abituali ed il carattere distintivo dell’attuale legislatura impallidiscono di fronte al comportamento del nostro Valerio.

Lasciato il partito liberale, Zanone diede vita ad un movimento che chiamò Unione Liberaldemocratica, vicina alle sinistre. Poi passò, dimostrando scarso acume politico, al patto di Mario Segni detto dal popolo giustamente Mariotto. Anche su questo movimento, per raggirare i suoi sostenitori, non si peritò di incollare un’etichetta  liberaldemocratica, dove di liberale vi era solo il passato che aveva rinnegato.

Nel 1995 il nostro ex liberale approda all’Ulivo di Prodi, poi fa parte dell’”Assemblea Federale de la Margherita”, quindi dà vita, instancabile, ad una “Associazione per la democrazia liberale” con il proposito (SIC!!!) di riunire nientemeno che i liberali della sinistra.

Emigra poi nella Margherita, nelle file dalla quale viene eletto al senato. Infine, sempre attento a sfruttare l’etichetta di un partito, quello liberale, da lui lasciato negli anni novanta, annuncia la sua adesione all’Alleanza per l’Italia di Rutelli.

Stanco di saltare da un movimento all’altro, chiude poi la sua carriera politica, lasciando un pallido seguace che non ha ancora avuto il tempo di imitarlo e che si chiama Enrico Costa, figlio di un liberale di vecchio conio.

Il nostro augurio è che nostro Signore lo accolga in Paradiso. Non dovrà neppure tenerlo d’occhio perché emigrare di lì non conviene a nessuno.

 

 

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Articolo pubblicato il 09/01/2016