Ernesto Francotto, un poeta e pittore piemontese

Un ricordo che merita d’esser tramandato

Non si è perso il ricordo di Ernesto Francotto, medico condotto di Busca, in provincia di Cuneo, dai primi anni del secolo scorso sino alla soglia degli anni ’70.

Laureato con il massimo dei voti, per amore della sua terra e seguire le orme del padre, rinuncia alla carriera universitaria e torna alla sua Busca, ove per lunghi anni eserciterà con umanità e dedizione l’arte del medico condotto.

A piedi, a cavallo o in bicicletta a percorrere i sentieri di campagna, senza badare ad orari o prebende. Così un tempo usavano comportarsi i medici, con umiltà e dedizione.

Ma, oltre ai non pochi pazienti che ancor ne serbano il ricordo, Francotto divenne celebre per i suo dipinti e per la poesia che gli sgorgava dall’animo.

Minimale, ma espressiva dello stato d’animo di un acuto osservatore, delle sue colline, della neve, della primavera.

Ernesto Francotto è uno di quei poeti per i quali, il significato dell’arte consiste nella espressione di una esperienza reale, nella rimeditazione sul passato e il presente, in cui si identificano in una sintesi permeata di lirismo il momento psicologico e quello sensitivo.

Nei suoi versi vi è un intrinseca validità artistica. Egli è un poeta vero, anche se non ha mai tenuto ad esserlo pubblicamente.

Leggiamo insieme qualche poesia che maggiormente attrae e trasporta

 

Tremule foglie

Tremule foglie di betulla al vento,

che nel riso d’aprile folleggiate,

ebbre di gioia o pazze di tormento

siete o pallide foglie che tremate?

O d’usignuolo note delicate

Voci di canto siete o di lamento?

Siete sorrisi o lagrime versate

Ne l’ore di tristezza e di sgomento?

Voci d’amor, che dolci al cor parlate

E sì grande gli date turbamento,

che siete pure voi? Deh su parlate:

E’ gioia od è dolore il sentimento?

Amiche voi mi siete, oppur m’odiate

Voci d’amor che dentro al core sento?

 

Giudici

Voi che, felici, al mondo non sapete

quanto malvagia la sventura sia

Né quanto lunga del dolor la via,

non siate ingiusti, come spesso siete,

quando miserie a giudicar sedete.

Frugate il fango con pazienza pia:

qualche gemma ha nascosto Poesia

pure nei fondi in cui voi non credete.

Né vi pensate di lordar le mani

In tal bisogna! troppo da Natura

avvinti fummo noi, fratelli umani,

perché non c’insudici la lordura

che gli altri imbratta; uniti in branchi immani

sia tutti spinti insieme alla ventura.

 

Dai Preludi

Candida, lieve,

la neve cade.

Ma l’occhio adirato

di passerotto affamato

guarda torvo il cielo

per l’inutile dono

delle farfalle del gelo.

 

Nel gelo che tace

Un battere d’ale:

la Fede!

Natale.

 

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Articolo pubblicato il 05/12/2017