Il Pensiero esoterico di Dante Alighieri: Terza Parte

La durata della vita della Terra

Riuscire ad estrapolare dei dati certi dall'immensa quantità d'informazioni numeriche, espresse negli endecasillabi danteschi, non è sicuramente cosa semplice.

Oltre alla effettiva difficoltà insita nella decodificazione dei termini nascosti nei vari punti delle tre Cantiche, vi è la confusione data da decine di differenti interpretazioni, spesso falsate da una necessità arbitraria di piegarle ai propri scopi.

Questa confusione è vecchia quanto la Commedia, all'interno della quale si sono sempre volute palesare interpretazioni condizionate dalla mentalità religiosa di matrice cattolica.

Dante Alighieri era un uomo dalla cultura straordinaria, conosceva le reali dimensioni del Pianeta, conosceva le costellazioni dell'emisfero australe e possedeva informazioni astronomiche molto moderne, di probabile origine musulmana.

In un articolo precedente abbiamo visto alcuni passaggi che indicavano l'anno 1300 come il punto centrale della vita della Terra, ovvero il momento che si situa a metà strada tra la Genesi e l'Apocalisse.

Sorvolando benevolmente sulle ingenuità di date che non hanno alcuna concreta relazione con la realtà astronomica, andremo a definire meglio i termini che hanno narrato i vari passaggi che ci portano a queste date.

Riprendiamo un concetto già esposto nella secondo di questi articoli:

Considerando che Adamo vide il sole tornare al suo punto di partenza per 930 volte, cioè visse 931 anni e che il compimento dei 1266 anni dalla frana del ponte della sesta bolgia era avvenuto il giorno prima (per cui Dante inizia il viaggio nell’anno 1267 dalla morte del Redentore), allora sommando il numero di anni che si ottengono da queste informazioni arriviamo a 4302+931+1267=6500 anni, corrispondenti esattamente alla metà del ciclo che Dante attribuisce alla storia umana; il secondo e ultimo periodo di 6500 anni dovrà trascorrere dall’anno 1300,  fino al giorno del Giudizio universale.

Il precedente articolo lasciava in sospeso il seguito della congettura dantesca, ora lo riprenderemo.

La risposta la troveremo in Paradiso IX:

 D’una radice nacqui e io ed ella:
Cunizza fui chiamata, e qui refulgo
           perché mi vinse il lume d’esta stella
;       33

ma lietamente a me medesma indulgo
la cagion di mia sorte, e non mi noia
;
           che parria forse forte al vostro vulgo.       36

Di questa luculenta e cara gioia
del nostro cielo che più m’è propinqua,
              grande fama rimase; e pria che moia,         39

questo centesimo anno ancor s’incinqua:
vedi se far si dee l’omo eccellente,
             sì ch’altra vita la prima relinqua.        42

 

Ci troviamo nel Cielo di Venere, ovvero nella zona del Paradiso che è sottoposta alle influenze astrali dell'amore in tutte le sue espressioni.

Cunizza da Romano, sorella del terribile Ezzellino, pur avendo vissuto una vita amorosa sicuramente molto vivace, non risulta mai essersi pentita delle proprie scelte:

          Cunizza fui chiamata, e qui refulgo
           perché mi vinse il lume d’esta stella;

In altre parole Cunizza afferma di trovarsi in Paradiso perchè è stata "indotta" da Venere ad esprimere le proprie pulsioni. Quindi l'Amore carnale, che aveva determinato il tradimento di Paolo e Francesca, tradimento che li ha costretti all'inferno, con Cunizza si manifesta in tutta la sua libertà e leggiadria, in accordo con quanto indotto dal pianeta Venere.

ma lietamente a me medesma indulgo
la cagion di mia sorte, e non mi noia;

Quindi nessun pentimento per i suoi leggadri amori, nessun ripensamento bigotto e tantomeno nessun senso di colpa... era il suo destino... direbbe qualcuno...

questo centesimo anno ancor s’incinqua:

Il verso che indichiamo è stato interpretato in modi differenti da differenti Autori.

Personalmente sposo l'idea che "s'incinqua", neologismo tutto dantesco significhi si moltiplichi per cinque; naturalmente dovremo stabilire, e quì le teorie fanno a pugni tra loro, cosa debba essere moltiplicato. Il centesimo anno di cui ci parla Dante è l'anno 1300, quindi sembra ovvio che si debba moltiplicare per cinque tale data. Il risultato sarà: 1300 x 5 = 6500.

Oltre, verso 94, compare il nome dell'Anima dell'omo eccellente, alla quale faceva riferimento Cunizza:

          Folco mi disse quella gente a cui      94
fu noto il nome mio; e questo cielo
di me s’imprenta, com’ io fe’ di lui;

Quindi Cunizza ci potrebbe dire, riferendosi a Folco (Folchetto di Marsiglia), che la fama del trovatore provenzale resterà viva fino alla fine dei tempi... 1300 + 6500 = 7.800 d.C. anno dell'Apocalisse.

Il dato più interessante riguarda la somma degli anni che precedono e che seguono la data del 1300: 6500 + 6500 = ovvero 13.000, esattamente la metà del Grande Anno che corrisponde a un intero ciclo precessionale di 26.000 anni, periodo ben noto a Dante che conosceva Ipparco da Nicea.

Ben sappiamo che le dispute letterarie non si esauriranno con queste spegazioni, ma ritengo più che credibile che Dante avesse voluto introdurre tale data per concludere elegantemente la sua teoria sulla durata dell'Universo.

 

 

 

 

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Articolo pubblicato il 13/03/2020