Covid: le riflessioni di Francesco Cordero di Pamparato

A situazioni drammatiche compaiono sia gli allarmisti che i negazionisti

Gentilissimo Direttore,

 

Mi rivolgo a Lei per esprimere il mio pensiero a proposito dell’attuale drammatica situazione. Permetta che mi presenti: ho vissuto in quattro dei cinque continenti e vi ho svolto mansioni di Manager, imprenditore e consulente. Attualmente sono temporaneamente a Torino da una ventina d’anni e, senza il Covid, me ne sarei già andato.

 

Ero in Romania quando i russi invasero la Cecoslovacchia, in Etiopia ai tempi di Mungustu, e della guerra civile in Eritrea. Ho da tempo constatato che davanti a situazioni drammatiche compaiono sia gli allarmisti che i negazionisti. Per me non hanno mai ragione né gli uni né gli altri. La verità sta nel mezzo. Purtroppo vedo in questo caso un “approccio ufficiale” fortemente allarmista, cui automaticamente si contrappone un altrettanto forte corrente negazionista.

 

Scusi, ma mi sembra che già il termine pandemia sia esagerato. Il morbo non ha colpito tutto il demos (popolo) ma solo una percentuale abbastanza bassa di esso, anche si ampiamente diffusa. Ora poi si riesce anche a curarlo. Da quanto ho sentito da medici di fama internazionale sembrerebbe un’influenza particolarmente grave, ma ricordiamo che ogni anno le influenze uccidono molte migliaia di persone deboli.

 

Di queste morti non se ne parla mai molto.

 

Purtroppo tutte le malattie hanno un certo coefficiente di mortalità, specie se vanno a colpire un organismo debole. A oggi, se non erro, i malati in terapia intensiva sono più o meno un migliaio. Non mi sembra un numero allarmante su una popolazione di circa 60 milioni di persone.

 

La mia modesta opinione è che un governo dovrebbe garantire un sistema sanitario efficace e fornire indicazioni di comportamento. Non prendere misure che ammazzano l’economia. Ho anche perplessità sul vaccino: non è un giubbotto antiproiettile che rende invulnerabile.

 

Intanto non si conosce bene il virus, in secondo luogo, alcuni dei promotori sono anche persone che ritengono che al mondo siamo in troppi. In conclusione,mi sembra che, davanti a una situazione grave, si proponga una cura ancor più grave del male.

 

Se si arriverà ad una seconda clausura (mi rifiuto di chiamarla con terminologia inglese), temo che la diagnosi finale sarà: la cura è riuscita, ma il malato è morto.

 

Lei che ne dice?

 

Con i miei più cordiali saluti

 

Francesco Cordero di Pamparato

 

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Egregio lettore,

 

le Sue preziose riflessioni sull'attuale condizione in cui versa la Nazione Italia rispecchiano fedelmente l'opinione diffusa che da tempo affligge le fasce più deboli di una popolazione quotidianamente alle prese con proclami e sentenze, oggi più note come DPCM.

 

Sicuramente la mancanza di certezze, e spesso di coerenza, non fanno altro che accrescere i dubbi; con ciò non intendo affermare che sia semplice individuare la panacea di ogni male, tuttavia anche il continuo susseguirsi di tutto e del contrario di tutto fa pensare all'improvvisazione messa in atto da chi cerca di metterci, di volta in volta, la classica pezza.

 

Tutto ciò si traduce nella mancanza di sicurezza, quella che scaturisce da un sistema ondivagante che privilegia una certa qual politica sanitaria piuttosto che la vera ricerca del bene, quello vero ed esteso a tutti.

 

Faccio comunque fatica ad interpretare in maniera asettica l'attuale atteggiamento del Governo che oggi terrorizza il popolo con catastrofiche previsioni mentre ieri parlava di una imprevista rinascita.

 

Naturalmente economica, quella stessa che i prossimi provvedimenti rischiano di mettere irrimediabilmente in pericolo dando conferma alla Sua acuta osservazione conclusiva che lamenta la morte del paziente a fronte di una cura perfettamente riuscita.

     

      Civico20News    

Il Direttore Responsabile                                   

      Massimo Calleri     

 

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Articolo pubblicato il 26/10/2020