Breve reportage sulla fine del sogno italiano.
Mi trovo a Craiova da circa tre mesi, una città a Sud della Romania di circa 300'000 anime, e sto partecipando a un programma di volontariato europeo che coinvolge ragazzi con disabilità e svantaggi economici: imbattersi in arzille vecchine che, dopo una vita spesa nel Belpaese, sono rientrate per riunirsi alle proprie radici è una cosa abbastanza comune, così come lo è sorridere del dialetto che negli anni hanno preso mischiato all’accento dell’est.
Considerati da molti come i nostri cugini più poveri, quella che era
E’ molto facile, specie a Bucarest, imbattersi in statue che rappresentano la celebre Lupa di Romolo e Remo e i riferimenti all’Impero che fu si sprecano.
Anche la religione, ortodossa, li rende con le dovute sfumature simili a noi, e più volte ho avuto l’impressione di trovarmi in un’ Italia di qualche decennio più addietro.
Seppur dalla stazione dei bus partano ogni giorno pullman per Roma, Milano e Torino e tutti i supermercati siano invasi da prodotti italiani in cui il tricolore spicca come simbolo di qualità, l’Italia vista dalla Romania ha perso parecchi punti, e non è più considerata come la meta-sogno ideale per costruirsi una carriera.
Non è difficile imbattersi in persone che, dopo aver provato a cercar fortuna da noi sono tornati indietro: è il caso del barbiere da cui vado a tagliarmi i capelli, un ragazzone di 35 anni che in un romano balbettante sostiene “per carità, ho provato come mutatore e cameriere ma mi è stato impossibile…qui gli stipendi so’più bassi ma trovare un’occupazione, almeno per me che parlo la lingua, è molto più semplice”.
O come la signora che lavora come insegnante di italiano in una scuola in cui facciamo attività, e che mi spiega come metà della sua famiglia sia rientrata durante la crisi di un decennio fa.
Già, qui l’italiano – come il latino nei licei - è ancora studiato, e una studentessa mi chiede se sono disposto a scambiare due parole per migliorare la pronuncia.
Accetto.
Mi chiede come li vediamo noi, i rumeni. E’ preoccupata li consideriamo tutti zingari; ci tengono molto, in generale, a rimarcare la differenza. La tranquillizzo, i suoi compaesani si sono fatti largo nell’edilizia, trasporti, ospedali… scherzo un po’ sullo stereotipo del rumeno con la panza che ingolla birra e guida auto tedesche. Ride.
Ma può essere fiera, dopotutto recentemente il Ministro degli Esteri rumeno in visita a Roma ha sottolineato come l’1.4% del Pil italiano sia prodotto da suoi connazionali.
E’ il mio turno, le chiedo che ne pensa dell’Italia, mi risponde con una bella immagine, una donna ricca e un po’ vecchiotta che passa le giornate sul dondolo a rimembrare quanto era bella da giovane.
Una donna che ora ho meno energie rispetto al passato, e che con amarezza si rende conto che gli anni a venire saranno meno entusiasmanti di quelli alle spalle.
Seppur triste, credo la metafora renda molto bene l’idea del sentimento che molti provano verso il nostro Paese.
In tre mesi non sono riuscito a percepire in modo chiaro la situazione economica rumena: il quartiere in cui vivo, tranquillo e immerso nel verde, presenta ancora un’architettura di stampo sovietico e fa a pugni con il curatissimo centro, moderno e ricco di locali.
La raccolta differenziata è un concetto ancora estraneo in gran parte della città, così come deprecabili sono i mezzi di trasporto: fare una traversata del Paese a bordo di un treno è un esperienza mistica che fa rivalutare di colpo l’eccellente rete Rti.
Le scuole mi sono sembrate più avanti rispetto a quelle nostrane, che letteralmente vano a pezzi, e il livello di istruzione tra i giovani è piuttosto elevato.
Andando a leggere in rete, l’economia di Bucarest è in continua crescita - +5,7%, +4.8%, e +3.9% il Pil nell’ultimo triennio- nettamente superiore alla media europea e ai nostri ritmi da prefisso telefonico (qua si festeggia dovessimo avanzare dell’1%!).
Un Paese che, anche grazie al basso costo del lavoro, sta attirando parecchi investitori esteri, come Ford, Amazon e
La scorsa settimana
Già, oltre a lingua e tradizioni, un altro punto che ci accomuna a questo popolo.
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Articolo pubblicato il 19/08/2018